I quattro ostacoli alla crescita della Sardegna: parte 1, il nazionalismo ideologico.
I quattro ostacoli della crescita dell’economia e della cultura sarda sono quattro: nazionalismo ideologico, socialismo economico, populismo politico e moralismo cattolico. Oggi ci occupiamo del primo.
Secondo l’encilopedia Treccani il nazionalismo é “l’insieme delle dottrine e dei movimenti che attribuiscono un ruolo centrale all’idea di nazione e alle identità nazionali. Il nazionalismo si è storicamente manifestato in due forme: come ideologia di liberazione delle nazioni oppresse e come ideologia della supremazia di una nazione sulle altre”.
Il nazionalismo italiano affonda le proprie radici nell’esperienza del Risorgimento e dell’inizio della seconda rivoluzione industriale (1850-1900). Megli anni 20 del secolo scorso il nazionalismo italiano si presentò come movimento delle classi borghesi in ascesa, appoggiato anche da intellettuali, artisti e letterati, fra cui spiccano le figure di Niccolò Tommaseo, Giosuè Carducci e Gabriele D’Annunzio.
Il nazionalismo è una dottrina politica che si fonda su tre asserzioni fondamentali: a) esiste una nazione con un suo chiaro e peculiare carattere; b) gli interessi e i valori di questa nazione sono prioritari rispetto a tutti gli altri interessi e valori; c) la nazione deve essere quanto più possibile indipendente. E ciò di solito include almeno il conseguimento della sovranità politica. (John Breully)
Per alcuni autori con il nazionalismo “si corre sempre il rischio che la situazione perda il controllo. Il nazionalismo ha sempre in sé un elemento irrazionale. Le ideologie non stanno ferme: montano, crescono. Se il nazionalismo fosse solo un sentimento personale, lo si potrebbe vivere anche in un altro modo. Ma nel momento in cui si trasforma in ideologia diventa pericoloso”. (Herta Müller)
Ma Mustafa Kemal Atatürk affermava invece che “con ragione ci definiamo nazionalisti. Ma noi siamo nazionalisti che rispettano e onorano ogni nazione e che collaborano con ognuna. Noi riconosciamo le rivendicazioni di tutte le nazioni. Il nostro nazionalismo non è in nessun modo egoista e supponente..
Soggetto ad una doppia lettura, invece, era l’affermazione di Emilio Lussu; “tra tutte le pesti, il nazionalismo è certamente la peste politica più contagiosa e quella che può essere la più fatale”.
Ideologicamente il nazionalismo ideologico si fonda sulla concezione astratta di Nazione, intesa come un assoluto e non come un composto organico e dialettico delle varie e concrete forze morali, sociali, politiche ed economiche che convivono nell’ambito di un popolo e di un paese.
Il contrario del nazionalismo ideologico é peraltro l’antinazionalismo ideologico, come quello espresso da Giuseppe Provenza che affermava “il nazionalismo è contrario all’interesse nazionale e all’interesse dell’Italia”.
Per Benedetto XVI il nazionalismo era “soltanto la radicalizzazione in età moderna dell’antico tribalismo”, ciò xgw mi spinge a catalogare anche il suo nel novero dell’antinazionalismo ideologico.
Si può comunque individuare un confine tra un utilizzo positivo e costruttivo del principio di nazionalità e la sua estremizzazione (nazionalismo suprematista). Laddove quest’ultima ha prevalso, ha condotto in ogni caso ad una situazione di guerra e conflitto o ad una politica razzista.
E’ interessante il caso italiano, in quanto il nazionalismo in Italia affondava le proprie radici nell’epoca del Risorgimento, nella quale esso condusse all’unificazione del territorio italiano, ancora in gran parte assoggettato alle potenze straniere. Dalla seconda metà dell’Ottocento infatti diede vita al cosiddetto irridentismo. In questo periodo il nazionalismo si presentò come movimento delle classi sociali in ascesa, non solo quindi la borghesia ma anche intellettuali e artisti. In un Italia che aveva appena visto le sue terre unificarsi, era ancora forte il bisogno di recuperare le terre rimaste sotto il dominio straniero. Tuttavia, inevitabilmente, nonostante si trattasse di un programma volto al rafforzamento dell’autorità statale e contribuisse alla creazione di un’identità nazionale, i nazionalisti in Italia furono i primi fautori dell’interventismo nella Prima Guerra Mondiale. Inoltre, come accadde anche in Spagna e Germania, il nazionalismo ebbe un ruolo fondamentale nell’elaborazione e la diffusione delle ideologie dei partiti fascisti (Lorenzo Gatto e Riccardo Cannistrà).
Quindi il nazionalismo italiano è stato nel contempo dei due tipi indicati all’inizio del ragionamento: liberatorio e primatista. Ed anche il nazionalismo italiano, verso il quale nutro peraltro grande rispetto, ha sofferto di una impostazione ideologica cercando di costrruire (imporre) talvolta una ricostruzione unilaterale dei fatti storici, pur in presenza, nel terriotrio italiano, di una pluralità di nazionalità.
Passiamo ora al caso Sardegna. Intanto bisogna rimarcare quanto la Sardegna sia vittima del nazionalismo ideologico italiano, che ha tentato in ogni modo di negare ed annullare le differenze culturali e storiche dei sardi rispetto al resto degli italiani. Inoltre sul fronte interno nella nostra bella isola prevale purtroppo un nazionalismo ideologico, osteggiato da un antinazionalismo altrettanto ideologico. Cioè prevale un’idea astratta sia tra i nazionalisti che tra gli antinazionalisti. Perché un’idea astratta? Perché i nazionalisti sardi continuano, loro stessi, a confondere stato e nazione, due concetti ben distinti, facendo così un gran favore agli antinazionalisti, che hanno buon gioco ad agitare lo spettro del secessionismo o separatismo.
Il nazionalismo sardo oggi è solo ideologia perché ha rinunciato in gran parte ad un approccio pratico, preferendo il sogno immediato, (tutto e subit0), assoluto ed irrealizzabile (fuori dalla geopolitica), che nemmeno i sardi mostrano di volere, anziché pensare ad un percorso a tappe, ragionato, programmatico e pragmatico, realistico e che tenga conto della necessità di una graduale maturazione del popolo sardo.
In un approccio realistico ed operativo che voglia davvero porsi obiettivi di breve e medio terine gli interrogativi sono fondamentalmente due: 1) se il sistema sardo è pronto ad un percorso di autodeterminazione; 2) se lo é il popolo sardo.
Le risposte sono negative per entrambi i punti, Quanto al punto 1 c’è da rilevare che il sistema sardo soffre innanzitutto di una impostazione di tipo assistenzialista e accentratrice, In altre parole la Sardegna rischia di repilcare a livello di ente locale regionale lo stesso modello criticato in penisola. Quanto al punto 2 non vi è dubbio che i cittadini sardi siano ancora oggi sudditi dell’idea che “da soli non ce la possano fare”. Il nocciolo sta tutto qui.
Aggiungo che manca ai sardi (quanto agli italiani tutti) una idea almeno vaga del proprio ruolo nel mondo e del proprio ruolo geopolitico. I sardi sono sempre stati abituati a guuardare ai porti di Genova e Civitavecchia, quasi il mondo si fermasse lì, mentra a due passi, al di fuori dei confini della penisola, ci sono centinaia di milioni di potenziali consumatori che noi non vediamo proprio per una chiusura mentale che ci è stata silenziosamente imposta dal nostro appartenere alla Repubblica Italiana.
I sardi sono stati educati per secoli al colonialismo, all’assistenzialismo (ci pensa Roma), dal falso solidarismo (siamo meno sviluppati e abbiamo diritto a più soldi) e dal fatalismo (che ci possiamo fare; non possiamo farci nulla). Per uscire da questo tunnel dobbiamo iniziare ad assumerci qualche responsabilità, chiedendo che le risorse che noi produciamo rimangano in Sardegna e vengano spese in base ai nostri ed autonomi programmi di sviluppo. In pochi sono capaci di comprendere cosa significhi questo a livello di efficienza e quindi finanziario e ci preoccupiamo solo di avere una montagna di soldi senza curari affatto di poterli spendere bene ed a nostro effettivo vantaggio. Il decentramento della spesa, cioè il federalismo fiscale, quello per intenderci dello schema definitivo una volta devolutivo ed ora della cosiddetta “autonomia differenziata”, ha una capacità moltiplicativa della spesa e soprattutto della sua efficienza e capacità di impatto per chi conosca davvero quale sia oggi la qualità della stessa spesa, cioè come vengono oggi realmente spesi i soldi dei contribuenti.
L’attuale marcato accentramento delle decisioni, anche di spesa, determina un’altra inefficienza dovuta ad una scarsa corrispondenza tra i bisogni dei territori e la destinazione dei finanziamenti a pioggia dati dal govenro centrale. In altre parole è inutile avere miliardi di euro a disposizione se posso spenderli solo dove decide il governo, magari trascurando voci di bilancio che amndrebbero direttamente ad incidere sulla qualità della vita dei cittadini e delle aziende, con ovvie conseguenze negative per l’economia.
Questo nuovo approccio presuppone una visione meno ideologica del nazionalismo sia da un punto di vista concettuale che operativo.
Un nazionalismo sano sano, moderno, in limea con i tempi e fuinzionali ai bisogni del terzo millennio, non si basa né sull’idea unilaterale della liberazione dallo Stato né tanto meno dall’idea siu una presunta e anacronostica superiorità su altre nazioni /nazionalità. La base concettuaale del nazionalismo moderno deve muoversi dal valore della tutela di tutte le diversità culturali del mondo, oggi oggetto di grande attenzione da parte dell’UNESCO e da una nuiova piattaforma istituzionale che si può chiamare federalismo, un nuovo patto tra la Sardegna e la Repubblica Italiana siglato sotto il segno della consapevolezza e della responsabilità.
Fortza Paris!