Kultura, Minculpop e federalismo.
I primi ventitre anni del terzo millennio ci consegnano una società sarda, italiana ed europea in piena crisi di identità ed è giusto porsi qualche domanda. Riflettendo sulla situazione internazionale non potevo non notare che nel mondo, ad ogni livello, ha sempre prevalso il modello accentratore dell’unica cabina di regia e la pandemia non ha fatto altro che acuire questa tendenza finendo per dettare l’agenda politica, definire nuovi equilibri tra i poteri degli stati, una evidente compressione degli spazi di agibilità democratica, concentrando sempre più nelle mani dei governi centrali tutti i poteri decisionali con il risultato di portare ad un forte livello di stress il sistema democratico. Anche la crisi ucraina è lo specchio di una società mondiale con un eccessivo accentramento di potere in mano agli stati che non danno spazio alle libertà dei popoli ed al rispetto delle diversità culturali.
In Italia ed in Sardegna la situazione è ben descritta dai numeri impietosi della partecipazione al voto ed alla ormai cronica assenza dei cittadini nella vita dei partiti politici, un fenomeno che ha fatto da specchio al progressivo accentramento dei poteri decisionali, che di fatto costituisce un sistema insufficiente ad interpretare i bisogni dei singoli territori ed un elemento di sempre maggiore distanziamento tra società e sistema politico, con l’ulteriore aggravante di una crescente deresponsabilizzazione dei cittadini nei processi di formazione della volontà legislativa ed esecutiva, ciò che si traduce di fatto nella inefficienza ed indifferenza delle dinamiche sociali.
La storia d’Europa è passata in breve dalle monarchie assolute al moto di libertà, uguaglianza e fraternità per inciampare repentinamente nell’avvento del modello di stato forte e accentratore che ha finito per creare un nuovo Dio, il Dio Stato, che ha sempre anteposto l’idea di un primato dello Stato sull’individuo, laddove invece ci vorrebbe uno Stato al servizio dei cittadini con un sistema decisamente decentrato riscontrabile attualmente solo in alcuni paesi tra i quali spicca il modello elvetico.. Anche l’idea tanto vagheggiata dell’uomo forte al comando corrisponde a questa deriva dello Stato tutta protesa alla celebrazione di una struttura artefatta nella quale il cittadino diviene suddito e lo stato il nemico, un rapporto difficile e riscontrabile anche nelle dinamiche economiche stato-aziende.
Questa tendenza degli Stati ad esercitare un certo senso di autoritarismo nel nome dei dogmi di unità, indivisibilità ed interesse nazionale ha finito per svilire gli individui ed i popoli contribuendo a giustificare la guerra come strumento di risoluzione delle controversie internazionali. In questa condizione l’unico modello che possa restituire agli individui ed ai popoli, lo spazio necessario per garantire partecipazione, è quello federale., una forma di Stato che si basa sull’assunto che le decisioni vengano assunte dal basso tenendo conto delle diversità culturali con il risultato di ottenere un tessuto sociale ed economico più forte, più coeso, dove il concetto di unità non sia dogma astratto, ma principio di reciproco riconoscimento delle differenze.
Oggi un grande ostacolo all’adozione di un nuovo modello sociale federale è rappresentato da un sistema politico che paga l’enorme volatilità del voto popolare, che spinge i governanti a preoccuparsi del consenso di oggi, effimero, più che dei programmi di largo respiro figli di una sapiente e lungimirante visione.
Se vogliamo fare passi in avanti dobbiamo dunque avere il coraggio di cambiare paradigmi e prendere atto che le categorie di destra e sinistra non sono più sufficienti a rappresentare né le istanze dei cittadini né i partiti che pretendono di rappresentarli; la vera crisi dell’opulenta e decadente società italiana, al pari di tutta quella occidentale, sta tutta qui, nella sua incapacità di uscire dalla prigione delle categorie del novecento, figlie di vicende esemplari, ma ormai superate.
A quasi un secolo dalla nascita del Partito Comunista e del Partito Fascista e dopo due secoli dalla nascita di Marx e oltre due secoli dalla rivoluzione francese e dalla affermazione del pensiero liberale, anche il linguaggio giornalistico, e non solo quello politico, non è cambiato nella sostanza, ed è ancora legato alle vecchie categorie (destra-sinistra, Padroni-Lavoratori) totalmente prive di rappresentare la complessa realtà attuale.
Minculpop e Kultura, citate nel titolo, rappresentano simbolicamente due tradizionali impostazioni totalizzanti e totalitarie di superate posizioni politiche di destra a sinistra e rispetto alle quali il federalismo è certamente più consono a modelli che si richiamano al concetto di libertà per rispondere alle istanze dei cittadini del mondo di oggi. Troppo spesso la cultura è apparsa appannaggio esclusivo di quella ascrivibile al pensiero cosiddetto di sinistra, quella che guardava con speranza ad est ed alla K della severa Kultura comunista sovietica. Ma anche Minculpop (acronimo del Ministero della Cultura Popolare di fascista memoria) rende bene l’dea che emerge dell’attuale cultura dominante del politically correct, che tutto fa divenire sconveniente e scandaloso, se detto dall’altro, dal diverso, dall’avversario, contro il quale è d’uopo, facile ed efficace agitare lo spettro dell’accusa infamante ora di comunista, ora di fascista, ora di nazista, liberista, sovranista, populista, costruendo uno dopo l’altro eroi da abbattere con la machina del fango dopo averli eletti a salvatori della patria. perpetuando il vuoto di una società che ha tante sensibilità ed energie positive che oggi non riescono più a trovare un luogo in cui fare sintesi. Una volta questi luoghi erano le associazioni, le chiese ed i partiti politici, vere e proprie scuole, fucine in cui il confronto favoriva la sintesi di energie e pensiero. luoghi che non esistono quasi più, anche per la nostra sfiducia crescente.
In questa situazione di apparente non ritorno il federalismo può rappresentare dunque la lucida soluzione ad ogni livello di governo, dai comuni, alle provincie, alle regioni, agli stati ed alle confederazioni di stati, agli organismi mondiali.
Nasce da questo ragionamento l’adesione alla causa federalista ed alla costruzione di una Sardegna Stato Federale che sostituisca l’attuale inadeguato Statuto della Sardegna. e che prenda definitivamente e formalmente atto dell’esistenza della nazione sarda, del bilinguismo, della piena autonomia scolastica e della nostra esigenza di autogoverno, anche e soprattutto sul piano economico e finanziario, per restituire ai sardi consapevolezza di sé e la responsabilità di scelte frutto della piena autodeterminazione, realizzando un modello ed un laboratorio che in tanti pensiamo possa essere un raggio di luce e d speranza in un mondo smarrito.