Nùgoro ( e non ebbìa ) est in crisi ca mancant sos gigantes, di Mario Carboni

Articolo di Mario Carboni

Meda mancu ischint chie sunt CUCCA E DEFFENU, duos zigantes sardos, ma non de pedra


Diamo allora uno sguardo agli anni precedenti la Grande guerra nella quale cadde giovanissimo Attilio Deffenu.
Leggere i suoi scritti giornalistici, anche conoscendo la sua attività di antiprotezionista e fertilizzatore delle idee sardiste che avevano anche entusiasmato il giovanissimo Gramsci allora esplicitamente indipendentista e poi a Milano da sindacalista rivoluzionario fanno capire l’eccezionalità dell’uomo e particolarità del momento storico nell’ingresso della Sardegna nel nuovo secolo, che si rivelò così terribile solo nella sua prima metà con due guerre mondiali e la Shoah.
Assieme andrebbe letta questa raccolta di lettere a Deffenu del suo carissimo amico nuorese Francesco Cucca.


Un epistolario di questo giovanissimo servo pastore che scopre il mondo altro passando per le miniere sarde e vivendo poi un quarantennio in Marocco e altri paesi arabi sorprendo contemporaneamente la scrittura è la poesia.
Scopriremmo due giovanissimi giganti di una generazione di sardi che prendevano rapidamente coscienza della necessità della liberazione della Sardegna non risparmiando critiche caustiche a ciò che non andava e ai vizi e debolezze della società sarda mai come allora colonizzata dal più recente potere italiano.
Molte delle loro deduzioni, autocritiche di una società sonnolenta ancora in mano a camarille compradoras e senza un punto di riferimento veramente sardo sembrano scritte per l’oggi.
Furono in seguito 13.600 compreso Deffenu i caduti sardi nella Grande guerra.
Per un popolo di neanche un milione di abitanti in un’isola vasta, bellissima e piena di risorse succhiate però da una bocca coloniale, fu una perdita come un genocidio.
Non solo tutti gli uomini validi in percentuali abnormi rispetto a quelle medie italiane, ma anche tantissimi giovanissimi delle leve del ‘99 e anche uomini maturi che possedevano la memoria culturale, linguistica, poetica, musicale , professionale, caddero in quella fucina che bruciava con la carne umana anche il pensiero e l’anima di una nazione che non aveva ancora coscienza di sè. Fu una specie di genocidio fisico, culturale ed etnico, dal quale non fu facile sollevarsi.
Malgrado il lutto collettivo, i vuoti in tutte le famiglie, i traumi fisici e psicologici di massa, i sardi riscoprirono la loro identità natzionale e la necessità di darsi obbiettivi politici nuovi, rivoluzionari ed autonomi dalle vecchie camarille e dallo Stato monarchico e centralista.
Ma non è vero ciò che spesso si scrive dei sardi in trincea, descritti come se avessero scoperto all’improvviso certe idee che furono poi alla base del programma e dell’azione sardista.
Queste idee avevano una base certa nell’opera precedente quasi di apostolato di tanti sardi come Bellieni e Cucca dei quali ci rimangono le tracce nei loro tantissimi scritti e chissà di quanti sconosciuti che persero la vita e il loro futuro in battaglia.
Di quella perdita forse ancora non si è ripresa la Sardegna.
Sembra incredibile che i due amici riuscissero a scrivere così tante lettere e scambiarsele con puntualità mantenendo una loro comunicazione costante che dimostra anche quanto fosse forte il sentimento di amicizia e di stima e di affetto quasi fraterno e forse più forte di quello fra fratelli che caratterizzava e spero caratterizzi ancora quella dei sardi.
Ecco se dovessi trarre una conclusione dalla lettura contrastiva delle lettere che si scrissero in quegli anni direi che quella che emerge di più come caratteristica di base è l’amicizia sardista che è fatta di due elementi strettamente uniti fra di loro: la condivisione del progetto politico di libertà della Sardegna con una forte amicizia personale, un binomio che supera qualsiasi contrasto o divergenza ideologistica e rifiorisce sempre anche dopo periodi di crisi e disincanto.
Fra di loro parlavano di tutto anche se con preferenze diverse, uno il politico e l’altro il poeta .
Scapigliati, resistenti, indomabili entrambi nella loro incredibile potenza energetica di giovanissimi pronti a dare tutto per le loro idee. Colti ed aperti al mondo.
Cucca soprende per il suo grande amore per Nuoro dove in realtà aveva vissuto solo l’adolescenza ma che scarnifica nei suoi mali sociali e culturali, con una critica che sembrerebbe scritta per l’oggi tanto servirebbe per ridare fiato e forza a questa città simbolo piegata su se stessa e non solo senza una vera classe dirigente ma che sta sprecando la sua gioventù che spero possa prendere esempio da Cucca e Bellieni ( se solo fossero conosciuti ) leggendo almeno i loro scritti pubblicati per darsi una sgroppata e scendere in campo per rinnovare non solo la città ma anche esser un faro per l’intera Sardegna.
Analoga osservazione può essere indirizzata a Sassari, svuotata e per questo ombra di se stessa come motore autonomista della Sardegna, indifesa verso il centralismo cagliaritano, che non si vuole contrastare che con richieste assistenzialiste, proteste per ottenere maggiori fette del bilancio regionale, invece che con proposte ed azioni politiche alte e di spessore almeno simile a quelle della generazione di Bellieni e compagni che tenevano testa al cagliaricentrismo con idee nuove, visione del futuro, moralità sardista e orgoglio identitario interno.

Mario Carboni