Secessioni e allargamento interno UE? Per Catalogna, Scozia e affini, di Adriano Bomboi
Secessioni e allargamento interno UE? Per Catalogna, Scozia e affini.
Si riporta di seguito il testo integrale di Adriano Bomboi sul tema delle minoranze nazionali europee. Buona lettura.
Spinto da un quesito del professor Giuseppe Melis Giordano rilancio un tema già vecchio di qualche tempo, riassumibile nella domanda: che succederebbe nell’ipotetica nascita di un nuovo Stato all’interno dello spazio UE? Potrebbe continuare a far parte dell’UE? O potrebbe comunque aderirvi?
Questa ipotesi venne principalmente affrontata a Bruxelles da uno studio della Fondazione Coppieters, per conto dell’European Free Alliance, nel lavoro del think tank vennero individuate le fonti normative interfacciabili col diritto UE.
Ho trattato questo argomento, noto agli esperti del ramo, su Sa Natzione nel 2012 e successivamente nei miei libri, di cui l’ultimo nel 2019, all’ultimo capitolo, ma solo marginalmente, essendo il mio un testo maggiormente incentrato sul lato economico del tema dell’autodeterminazione.
Come noto, i principali trattati UE (TUE e TFUE) non contemplano la specifica ipotesi di una “riammissione interna” di porzioni di Stati membri, e non perché siano “intrinsecamente ostili” all’opzione, ma perché al momento della loro nascita, molto semplicemente, non venne vagliata tale possibilità.
Nel diritto internazionale tuttavia esistono già precise fonti normative di cui potrebbe avvalersi l’UE per consentire l’adesione, ad esempio, di una Catalogna indipendente, della Scozia, etc.
Il team di lavoro identificò le Convenzioni di Vienna del 1978 e quella del 1983 come base giuridica di cui avrebbero potuto avvalersi degli Stati di “nuovo conio” come strumenti per nuove ipotetiche adesioni.
Ma di cosa trattano questi testi? E sono “validi”?
Bisogna precisare tre aspetti fondamentali:
A) Queste Convenzioni riguardano gli aspetti ex ante di una adesione, ossia servono a creare le condizioni giuridiche che poi consentano al nuovo Stato di sviluppare la propria politica estera.
In cosa consistono, essenzialmente, queste condizioni? Quelle che ci interessano più da vicino sono la Convenzione del 1978 (da non confondere con le altre omonime), denominata “Convenzione di Vienna sulla successione degli Stati rispetto ai trattati”, e quella del 1983, la “Convenzione sulla successione degli Stati rispetto ai beni pubblici, ai debiti pubblici e agli archivi”, inerenti la formazione di una nuova sovranità in luogo di un’autorità precedente.
I cui articoli si occupano di riequilibrare gli asset dei singoli Stati nei rapporti reciproci.
Per farvi capire meglio, il corpus principale del testo si occupa di regolarizzare e riordinare i rapporti tra la parte che secede e lo Stato che ha eventualmente subito la secessione e/o sostituizione. Nella fattispecie, norme sulla successione del debito pubblico comune, sulla titolarità dei beni pubblici (archivi, biblioteche, etc.), e tanto altro.
I testi vennero compilati dalla Commissione del diritto internazionale, un organo sussidiario permanente delle Nazioni Unite.
B) Ma qui arriviamo al lato pratico, quello dolente. Ben pochi Stati europei hanno poi concretamente dato seguito a tali Convenzioni, e quasi tutti dell’est europeo. In particolare, pensiamo a Croazia, Estonia, ecc. Altri Stati ancora hanno firmato ma non ratificato tali testi. E questo è avvenuto per varie ragioni, alcune abbastanza ovvie.
C) Tra queste ragioni vi è il fatto che tali Convenzioni non sono retroattive nel tempo, ma possono applicarsi solo a casi recenti. E qui vi è il nodo principale del problema: Stati come la Spagna, per comprensibili ragioni, non sono interessati – sul piano politico – a validare un processo giuridico che rimuoverebbe varie incognite e difficoltà a degli indipendentisti per spianare loro la strada verso nuove formule di adesione all’Unione Europea. Altri Stati ancora, come la Germania, potrebbero opporsi al medesimo processo, e non in quanto ostili di principio all’autodeterminazione di altri popoli, ma perché, sempre sul piano delle ipotesi, Berlino potrebbe ritenere problematico, sul piano economico, riequilibrare i rapporti economici su cui si fonda l’attuale stabilità europea.
In altri termini, si preferiscono evitare “fastidi” che potrebbero aprire a situazioni di instabilità nel cuore dell’Europa.
Nulla tuttavia vieterebbe ad un nuovo Stato di aderire all’UE, superato lo scoglio politico, previo rispetto dei Copenaghen criteria. Ossia gli standard attualmente in uso dal diritto UE, oltre a Maastricht, per l’accesso alla famiglia europea.
Poi ovviamente i recenti casi di Scozia e Catalogna hanno stimolato la produzione di ulteriori studi e documenti su queste casistiche, che sappia io, non ufficiosi.
Adriano Bomboi