Kultura, Minculpop e Federalismo.
Le vicende degli ultimi 25 anni ci dicono che le categorie di destra e sinistra non sono più sufficienti a rappresentare né le istanze dei cittadini né i partiti che pretendono di rappresentarli, anche se questa dirompente verità non viene, colpevolmente, messa in evidenza da chi, per ruolo, esperienza e storia avrebbe l’autorevolezza per farlo, forse per la convenienza mediatica di una falsa rappresentazione della realtà finalizzata a nascondere il vuoto che sta dentro quei molte dichiarazioni che necessitano di una stampella per potersi ergere a pensiero.
La vera crisi dell’opulenta e decadente società italiana, al pari di tutta quella occidentale, sta tutta qui, nella sua incapacità di uscire dalla prigione delle categorie del novecento, figlie delle vicende del secolo precedente.
Il passato e la storia sono innegabilmente un importante faro, così pieni di esempi, moniti, gravi errori e grandi conquiste di un’umanità sempre protesa verso un miglioramento della propria condizione anche economica, ma che, nell’era della new economy, si dimostra incapace di elaborare un pensiero nuovo e originale, adeguato ai tempi, utile a superare gli ostacoli del presente.
A quasi un secolo dalla nascita del Partito Comunista e del Partito Fascista e dopo due secoli dalla nascita di Marx e oltre due secoli dalla rivoluzione francese e dalla affermazione del pensiero liberale, il linguaggio giornalistico e politico non è cambiato nella sostanza, ancora legato alle vecchie categorie (destra-sinistra, Padroni-Lavoratori) totalmente prive di capacità di rappresentazione della complessa realtà attuale e ciò è ampiamente confermato sia dalla disaffezione ormai cronica dell’elettorato alla partecipazione alla vita politica, sia dalla altrettanto cronica difficoltà della politica di trovare nuove e più confacenti soluzioni al perdurare della crisi sociale in atto ormai da alcuni decenni.
Nel secolo scorso sono state create ed esplorate molte categorie quali l’ambientalismo, liberalismo e sovranismo, a cui potremmo aggiungere quelle del populismo, comunismo, fascismo, nazismo, liberismo, per citarne alcune, tutti concetti ormai utilizzati in modo distorto, di cui si è persa realmente memoria e possibile rapporto con il nuovo mondo. che di questi concetti ormai si fa in ogni sede per la chiara incapacità dell’attuale classe dirigente italiana (dove sono andati a finire i filosofi e gli economisti di una volta?) di creare nuove e più aderenti categorie in linea con le nuove esigenze di una società che non è solo cambiata, ma che è addirittura diversa (si pensi solo al ribaltamento, in poco meno di 50 anni, del numero di praticanti cattolici in Italia, passato dall’ottanta percento a numeri davvero risicati, vicino al venticinque percento nei sondaggi 2016)
Oggi per essere tacciati di comunismo, fascismo, nazismo, sovranismo, liberismo, populismo, ateismo, basta essere avversari nella politica, nell’economia, nel mondo della cultura o del lavoro, ma ben pochi sanno dare, a queste categorie, il giusto significato.
Si continua in malafede a confondere il liberismo con il liberalismo, che pure hanno evidenti punti di contatto, ma che non sono la stessa cosa, tanto che vi sono convinti liberali che si dichiarano contrari al liberismo. Ma anche lo stesso concetto di liberismo non è univoco. Negli ultimi decenni del secolo scorso si è molto parlato del liberismo di Margareth Tatcher, in chiave quasi sempre negativa e che ha finito per rappresentare il modello storico di riferimento. E’ stato poi coniato il termine molto infelice di neo-liberismo, un altro fallito tentativo di semplificazione di una realtà estremamente complessa quale quella economica post industriale.
Anche l’accusa di sovranismo mi pare francamente il frutto di una semplificazione inaccettabile, tanto più che è stata mutuata da stampa e social, al pari del termine populismo, ad indicare ben determinati partiti politici. Il concetto di sovranismo in sé risulta intanto vuoto e privo di reale significato se manca un chiaro rapporto tra un’area territoriale ben definita e la sovranità che si vorrebbe rivendicare. Orbene, a parte il fatto che esiste nel vocabolario italiano un termine molto più chiaro ed attinente che corrisponde, a mio parere, all’aggettivo “nazionalista”, non si capisce nemmeno come possa definirsi nazionalista ad esempio un partito (come la Lega) che si è caratterizzata in passato e continua oggi a caratterizzarsi come l’insieme di tante rivendicazioni territoriale distinte. Al massimo penserei più ad un partito sostanzialmente federalista, non sovranista, o meglio nazionalista, che forse potrebbe, al massimo, corrispondere ad una posizione simile quella del partito dei Fratelli d’Italia.
Molto spesso ho sorriso per l’uso della lettera K a sostituire il suono della c “dura”, ma la mia citazione in titolo rende bene l’idea che troppo spesso la cultura pare appannaggio esclusivo di quella ascrivibile al pensiero riconducibile alla sinistra, quella che guardava con speranza ad est ed alla K della severa Kultura comunista sovietica. Ma anche Minculpop (acronimo del Ministero della Cultura Popolare di fascista memoria) rende bene l’dea che ho dell’attuale cultura dominante del politically correct, che tutto fa divenire sconveniente e scandaloso, se detto dall’altro, contro il quale è d’uopo, facile ed efficace agitare lo spettro dell’accusa infamante di comunista, fascista, nazista, liberista, sovranista, populista, perpetuando il vuoto di una società che ha tante sensibilità ed energie positive che oggi non riescono più a trovare un luogo in cui fare sintesi. Una volta questi luoghi erano le associazioni, le chiese ed i partiti politici, vere e proprie scuole, fucine in cui il confronto favoriva la sintesi di energie e pensiero. luoghi che non esistono quasi più, anche per la nostra sfiducia crescente (ed alimentata da stampa e parte della politica) verso le istituzioni religiose e politiche.