Ucraina, la Carta di Parigi come nuovo modello di risoluzione delle controversie internazionali.
Sono passati oltre due anni dal mio approfondito intervento sulla reale portata del principio di autodeterminazione dei popoli e la questione delle nazioni senza stato e avevo concluso che “per quanto ci si sforzi il nodo della questione è sempre e solo politico e i pronunciamenti ed i comportamenti di organismi e stati sull’argomento sono sempre stati la risposta specifica a situazioni specifiche con l’obiettivo di soddisfare primariamente la necessità di evitare o far cessare gravi conflitti tra stati o all’interno degli stati e quasi sempre per sostenere concomitanti interessi economici, mascherati spessissimo da un apparente sensibilità sui diritti umani”.
Oggi la questione ucraina ha fatto riemergere l’urgenza di dare alle questioni nazionali una impostazione meno ideologica e nel contempo capace di rispondere ad esigenze di pace e benessere, elementi che possono ben esprimere nel contempo esigenze e bisogno di stati e di nazioni senza stato. Del resto l’attuale conflitto dimostra ancora una volta che la guerra come risposta ai nazionalismi non è una via eticamente corretta, o economicamente e politicamente conveniente per nessuna delle parti in gioco, per non parlare dei gravi pericoli che incombono su tutto il mondo.
Nella prassi ha spesso prevalso l’dea che la sicurezza e sopravvivenza di uno Stato dipendesse dalla sua capacità di compressione di ogni differenziazione interna al fine di garantire una omogeneità diffusa in nome del dogma dell’unità nazionale, anche in violazione di qualsiasi altro interesse in gioco, da sempre ritenuto subordinato, al pari di quello, piuttosto fumoso, di interesse nazionale. Questa diffusa visione, frutto a mio parere di pigrizia mentale e di scarsa visione, merita oggi un aggiornamento alla luce delle concomitanti vicende belliche in atto sul caldo confine Russo-Ucraino, con l’obiettivo di ricondurre il confronto in atto sul piano dei diritti universalmente riconosciuti e sulla loro potenziale capacità, attraverso il loro effettivo esercizio, di una più soddisfacente tutela di tutti gli interessi in campo.
Nella mia tesi la tutela dei diritti universali è interesse prioritario dell’intera comunità internazionale ed è per questo che può ben essere posta a base di un nuovo paradigma del diritto internazionale, un nuovo modello più avanzato ed in linea con la società del terzo millennio, un modello, inoltre, molto più vicino alle nuove generazioni, costrette a pagare scelte fatte da una classe dirigente mondiale ancora incrostata dagli odi e dai pregiudizi del secolo scorso,
Uno dei punti più delicati e controversi che continuano oggi più che mai a minare la pace nel mondo è la questione delle nazioni senza stato (tra le quali annovero senz’altro la mia Sardegna, tipico esempio di territorio ben definito e naturalmente delimitato con lingua e Storia ben distinte) perché nei fatti si è sempre considerato prioritario e prevalente il principio della integrità territoriale degli stati così come sono in un dato momento riconosciuti dalla comunità internazionale, E non è strano e nemmeno paradossale che proprio al principio di integrità dei confini nazionali si appellano sia la Russia, che in base a ciò ha intrapreso una vera e propria guerra di invasione di uno stato confinante, che l’Ucraina la quale, non a torto, considera tale invasione una palese violazione del diritto internazionale. Nel contempo ambedue si appellano ai rispettivi e distinti nazionalismi: la Russia per indicare l’Ucraina quale origine e cuore storico della Grande Russia: l’Ucraina per sottolineare la propria specificità storica e linguistica nonché il proprio intangibile diritto all’autodeterminazione delle politiche e scelte con riguardo ai rapporti internazionali.
Mi chiedo ora se esiste nei fatti la possibilità di elaborare e condividere alcuni principi cardine sui quali una comunità internazionale potrebbe fondarsi per evitare il più possibile altre guerre. A mio parere lo si può fare assumendo a base del ragionamento una delle più recenti convenzioni internazionali, la cosiddetta Carta di Parigi del 2005 interamente incentrata sulla tutela delle diversità culturali.
La Convenzione dell’UNESCO sulla protezione e la promozione della diversità delle espressioni culturali è uno strumento giuridico internazionale adottato dalla Conferenza generale dell’UNESCO il 20 ottobre 2005, durante i lavori della 33ª sessione della Conferenza generale dell’UNESCO a Parigi, ratificato dall’Italia il 2 febbraio del 2007. La Convenzione integra le precedenti disposizioni culturali stabilite dall’UNESCO tra cui la Dichiarazione universale sulla diversità culturale del 2001.
La Carta di Parigi, lungi dall’essere una mera elencazione di principi, indica anche le modalità concrete di perseguimento dei suoi obiettivi attraverso una puntuale elencazione delle azioni che gli stati sono chiamati a compiere ed a mio parere proprio questa Carta potrebbe rappresentare, se ben attuata, il punto di svolta capace di dare una base giuridica internazionale ala soluzione dei problemi di convivenza di popoli e culture diverse e quindi anche di affrontare e spingere a soluzione questioni dolorose e drammatiche come quella russo-ucraina, ma anche questioni secolari mai spente, come la irrisolta “Questione Sardegna“.
Ma, come ho detto, la vera svolta si avrà solo quando verrà definitivamente messo in crisi l’ottocentesco e superato principio per il quale il diritto internazionale sia fondamentalmente l’insieme di norme, regole e prassi attraverso il quale si regolano i rapporti tra stati e si dirimono le loro controversie per passare ad un modello diritto internazionale basato sulle regole che debbono sovraintendere alla convivenza tra stati, popoli ed individui, nel presupposto che i diritti sono innanzitutto dei popoli e degli individui, essendo invece gli stati nient’altro d più che organizzazioni sociali attraverso le quali sia gli uni che gli altri cercano di perseguire i propri obiettivi con maggiore efficienza ed efficacia. Forse non è superfluo ricordare che il diritto di autodeterminazione dei popoli sancito nella Carta Atlantica (14 agosto 1941) e nella Carta delle Nazioni Unite (26 giugno 1945; art. 1, par. 2 e 55), il principio di autodeterminazione dei popoli è ribadito nella Dichiarazione dell’Assemblea generale sull’indipendenza dei popoli coloniali (1960); nei Patti sui diritti civili e politici e sui diritti economici, sociali e culturali (1966); nella Dichiarazione di principi sulle relazioni amichevoli tra Stati, adottata dall’Assemblea generale nel 1970, La Carta di Parigi oggetto di questo articolo non è che un altro mattone del medesimo principio, perché quando si parla di tutela delle diversità culturali lo si fa sia con riferimento sia al singolo individuo che alla sua comunità di appartenenza (anche una nazione senza stato) e le espressioni tutelate sono tra l’altro, a scopo meramente esemplificativo, quelle religiose e linguistiche.
La Carta di Parigi, quindi, indica molto bene le azioni politiche condivise alle quali gli stati devono intraprendere e afferma (da qua riporto integralmente) che “Gli Stati membri si impegnano a prendere le misure appropriate per diffondere ampiamente la “Dichiarazione universale dell’UNESCO sulla diversità culturale” e incoraggiare sua effettiva applicazione, in particolare cooperando al fine di raggiungere i seguenti obiettivi:
1. approfondire il dibattito internazionale sulle questioni relative alla diversità culturale, in particolare per quanto riguarda i suoi legami con lo sviluppo e il suo impatto sull’elaborazione delle politiche, a livello nazionale e internazionale; in particolare prendendo in considerazione l’opportunità di uno strumento giuridico internazionale sulla diversità culturale.
2. Avanzare nella definizione di principi, standard e pratiche, a livello sia nazionale che internazionale, nonché di modalità di sensibilizzazione e modelli di cooperazione, che sono i più favorevoli alla salvaguardia e alla promozione della diversità culturale.
3. Promuovere lo scambio di conoscenze e migliori pratiche in materia di pluralismo culturale al fine di facilitare, in società diversificate, l’inclusione e la partecipazione di persone e gruppi di diversa estrazione culturale.
4. Fare ulteriori progressi nella comprensione e nel chiarimento del contenuto dei diritti culturali come parte integrante dei diritti umani.
5. Salvaguardare il patrimonio linguistico dell’umanità e dare sostegno all’espressione, alla creazione e alla diffusione nel maggior numero possibile di lingue.
6. Incoraggiare la diversità linguistica – nel rispetto della lingua materna – a tutti i livelli di istruzione, laddove possibile, e promuovere l’apprendimento di diverse lingue fin dalla più tenera età.
7. Promuovere attraverso l’educazione una consapevolezza del valore positivo della diversità culturale e migliorare a tal fine sia la progettazione del curriculum che la formazione degli insegnanti.
8. Integrare, se del caso, le pedagogie tradizionali nel processo educativo al fine di preservare e utilizzare appieno i metodi di comunicazione culturalmente appropriati e la trasmissione delle conoscenze.
9. Incoraggiare la “digital literacy” e assicurare una maggiore padronanza delle nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione, che dovrebbero essere viste sia come discipline educative sia come strumenti pedagogici in grado di migliorare l’efficacia dei servizi educativi.
10. Promuovere la diversità linguistica nel cyberspazio e incoraggiare l’accesso universale attraverso la rete globale a tutte le informazioni di pubblico dominio.
11. Contrastare il divario digitale, in stretta cooperazione con le organizzazioni pertinenti del sistema delle Nazioni Unite, promuovendo l’accesso dei paesi in via di sviluppo alle nuove tecnologie, aiutandole a padroneggiare le tecnologie dell’informazione e facilitando la diffusione digitale dei prodotti culturali endogeni e l’accesso da parte di tali
paesi alle risorse digitali educative, culturali e scientifiche disponibili in tutto il mondo.
12. Incoraggiare la produzione, la salvaguardia e la diffusione di contenuti diversificati nei media e nelle reti di informazione globali e, a tal fine, promuovere il ruolo dei servizi radiotelevisivi pubblici nello sviluppo di produzioni audiovisive di buona qualità, in particolare promuovendo lo stabilimento di meccanismi cooperativi per facilitare la loro distribuzione.
13. Formulare politiche e strategie per la conservazione e la valorizzazione del patrimonio culturale e naturale, in particolare il patrimonio culturale orale e immateriale e la lotta al traffico illecito di beni e servizi culturali.
14. Rispettare e proteggere la conoscenza tradizionale, in particolare quella delle popolazioni indigene; riconoscere il contributo delle conoscenze tradizionali, in particolare per quanto riguarda la protezione dell’ambiente e la gestione
delle risorse naturali, e promuovere le sinergie tra la scienza moderna e la conoscenza locale.
15. Promuovere la mobilità di creatori, artisti, ricercatori, scienziati e intellettuali e lo sviluppo di programmi di ricerca e partnership internazionali, cercando allo stesso tempo di preservare e migliorare la capacità creativa dei paesi in via di sviluppo e dei paesi in transizione.
16. Garantire la tutela del diritto d’autore e dei diritti connessi nell’interesse dello sviluppo della creatività contemporanea e della giusta remunerazione per il lavoro creativo, sostenendo allo stesso tempo un diritto pubblico di accesso alla cultura, in conformità dell’articolo 27 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo .
17. Assistere all’emergenza o al consolidamento delle industrie culturali nei paesi in via di sviluppo e nei paesi in transizione e, a tal fine, cooperare allo sviluppo delle infrastrutture e delle competenze necessarie, favorire l’emergere di mercati locali redditizi e facilitare l’accesso al prodotti di tali paesi al mercato globale e alle reti di distribuzione internazionali.
18. Sviluppare politiche culturali, compresi accordi operativi di supporto e / o quadri normativi appropriati, progettati per promuovere i principi sanciti in questa Dichiarazione, in conformità con gli obblighi internazionali incombenti a ciascuno Stato.
19. Coinvolgere da vicino le varie componenti della società civile nell’elaborazione di politiche pubbliche volte a salvaguardare e promuovere la diversità culturale.
20. Riconoscendo e incoraggiando il contributo che il settore privato può apportare al miglioramento della diversità culturale e facilitando, a tal fine, l’istituzione di forum per il dialogo tra il settore pubblico e il settore privato”.
Sono dunque ben 20 i punti che l’Unesco indica come azioni concrete per il perseguimento degli obiettivi della convenzione, tutti ben chiari e potenzialmente capaci di contribuire da una parte a quella valorizzazione delle differenza che è considerato patrimonio e valore irrinunciabile dell’umanità, dall’altro ad essere strumento strumento di diffusione e condivisione di queste stesse peculiarità, premesse indispensabili per l’accettazione e quindi la pacifica convivenza tra popoli e individui distinti per diversità culturale, lingua, tradizione, religione, usi e costumi.
Pertanto mi sento di affermare che la Carta di Parigi contiene in sé tutte le azioni positive che stanno alla base di una politica internazionale basata sul multiculturalismo, l’unico approccio capace di tutelare tutti i popoli, compresi quelli senza stato, favorendone la tutela, lo sviluppo e la pacifica convivenza e pertanto una base giuridica seria ed avanzate su cui fondare il dialogo e la soluzione e prevenzione dei contenziosi internazionali.
E l’Ucraina? La soluzione c’è ed è una sola: il rispetto dell’autodeterminazione dell’Ucraina, con l’integrale applicazione della tutela delle diversità culturali sia nei rapporti internazionali (Russia in primis) che in quelli interni con riferimento ai distinti popoli in essa conviventi. Con questo principio si sarebbe trovata la quadra nell’annoso ed insanabile contenzioso tra i filorussi del Donbass ed i filo europei della parte Ovest, entrambi con il diritto all’autodeterminazione, finendo per togliere alla Russia ogni pretesto di aggressione.