Lo studioso Corrias non ha dubbi: la lingua sarda ha radici semitiche.
Ho già avuto modo di occuparmi di linguistica sarda e della sua parentela con le lingue semitiche, come non ho affatto dimenticato la lezione di Salvatore Dedola, glottologo, attorno alla forzatura delle accademie sulla artefatta suddivisione tra lingue indoeuropee e lingue semitiche, parentela sostenuta a suon di documenti dall’epigrafista Luigi (Gigi) Sanna di Abbasanta, un vero e proprio illuminato pioniere negli accurati e rivoluzionari studi sulla scrittura nuragica.
Con il passare del tempo queste tesi del Dedola o del Sanna trovano ormai conferma in autorevoli archeologi (su tutti Massimo Pittau e Giovanni Ugas) e studiosi, tra i quali spicca il nome di Gian Matteo Corrias, che proprio in questi giorni é stato destinatario di una lunga intervista ad opera del biblista Mauro Biglino, che ha parlato di un Mediterraneo Antico come un sistema di connessioni estremamente interessante e complesso, rispetto alle quali però “pare che l’analisi linguistica non provi il suo giusto spazio quindi non riesca in un certo qual modo a integrarsi” (cit. Mauro Biglino)
Sul punto lo studioso Gian Matteo Corrias, Laureato a Firenze in Filologia Umanistica ed autore di diversi saggi incentrati sulle antiche religioni, afferma: “Mi chiedo se c’è un motivo per questa incongruenza; In effetti la visione elaborata dalla linguistica tradizionale descrive il Mediterraneo Antico come un mondo diviso in due grandi settori chiusi non interdipendenti privi di qualsiasi tipo di osmosi possibile, mettendo da una parte le lingue semitiche e cananitiche dall’altra invece le lingue di ceppo indoeuropeo. L’indoeuropeistica classica tende a lavorare sulla base di criteri di tipo attivamente meccanico creando degli apparentamenti puramente lessicali.
Per fortuna nel 1984 é successo qualcosa che ha in qualche modo sconvolto il mondo degli studi linguistici: il linguista Giovanni Semerano, con la sua monumentale analisi linguistica e filologica, ha messo profondamente in discussione quelle che parevano essere delle certezze acquisite, un lavoro monumentale la cui monumentalità è testimoniatal delle sue pubblicazioni e in particolare del lavoro più sistematico ricapitolativo tutto il lavoro;
I primi due volumi sono entrambi sottotitolati: Rivelazioni della linguistica storica – in appendice Il messaggio etrusco e consistono nella disamina di circa 2.000 lemmi dell’etrusco, del basco e toppnimi, idromini, teonimi ed etnonimi euripei e mediterranrai, di cui l’autore presenta relazioni e corrispondenze con il sumero e con lingue semitiche come accadixi, ebraici e arabi ed altre lingue semitiche.
Gli ultimi due sono dei vocabolari della lingua greca, della lingua latina e in parte germaniche in cui appunto Semerano fonda su base documentale la sua ipotesi.
Quest’ipotesi evidentemente ha scosso il tema sul Mediterraneo antico e ha incontrato notevolissime resistenze da parte del mondo accademico e la cosa sorprendente è che le differenze più significative tra quelle che ha incontrato le incontra da parte degli studiosi semiti. Il risultato dell’integrazione culturale di tutti i popoli del Mediterraneo Antico é stato quindi notevole e sorprendente, per cui è possibile disegnare un bacino del Mediterraneo Antico come una mondo unito con dei legami molto forti molto più di quanto finora è stato possibile desumere attraverso ad esempio gli Studi archeologici.