16 Ottobre 1943, rapimento e assassinio degli ebrei romani, di Mario Carboni
100 ANNI.
IL RAPIMENTO E ASSASSINIO DEGLI EBREI ROMANI INIZIATO DA PARTE DEI NAZIFASCISTI IL 16 OTTOBRE 1943 SUSCITA ANCORA ORRORE E RIPROVAZIONE INDIMENTICABILI:
MA CI FURONO ANCHE I GIUSTI.
Voglio ancora una volta ricordare, in questa infausta ricorrenza, uno dei Giusti sardi, uno per tutti gli altri che pur rischiarono e persero la vita per salvare degli ebrei dalla Shoah e che operò proprio da quel 16 ottobre a Roma.
VITTORIO TREDICI
La sua vita s’intreccia con l’epopea sardista che quest’anno celebra i 100 anni di vita e che vide i sardisti, a volte per vie tortuose e sorprendenti lottare contro il fascismo nei primi anni del contrasto al fascismo sbarcato in Sardegna, durante il ventennio in Sardegna e nell’esilio e nella Resistenza, contro il razzismo, l’antisemitismo, dopo l’8 settembre.
Nel Giardino dei Giusti tra le Nazioni, a Yad Vashem, dal 1997 c’è un albero dedicato a Vittorio Tredici ( Iglesias 1892 – Roma 1967 ).
Ufficiale combattente e decorato al valor militare nella Grande Guerra fu uno dei più importanti fondatori del PsdAz e animatore del sardismo cagliaritano.
Dopo aver combattuto lo squadrismo con le camicie grigie sardiste al fianco di Emilio Lussu, in seguito aderì al particolare fenomeno politico noto come il “sardo-fascismo” con Egidio Pilia, Giovanni Cao, Enrico Endrich, Paolo Pili che si ripromettevano di influenzare in senso autonomista e sardista il fascismo isolano.
Nonostante il suo nome sia sconosciuto a molti, Vittorio Tredici ha lasciato tracce del suo passaggio nei luoghi in cui è vissuto, attraversando grandi eventi italiani della prima metà del secolo scorso in una posizione tutt’altro che marginale.
Proveniente da una famiglia modesta, studiò nell’istituto per ragioneria di Cagliari. Il padre Giovanni era magazziniere nello spaccio della miniera di Monteponi, la madre Adele Pezzini maestra elementare e molto religiosa.
Vittorio visse dalla giovinezza a contatto delle durissime condizioni dei lavoratori delle miniere e delle loro famiglie e per questo intraprese l’impegno sindacale e da esperto minerario che lo caratterizzò per tutta la vita.
Combatté durante la prima guerra mondiale nella Brigata “Sassari”: fu inviato in Libia, successivamente sul fronte italo-austriaco, dove rimase dal 1916 al 1918;
Al Tenente Tredici nel 1917 per atti eroici durante l’undicesima battaglia dell’Isonzo venne concessa la medaglia di bronzo al valor militare e dopo la ritirata di Caporetto venne promosso per meriti speciali da Tenente a Capitano;
dopo l’armistizio fu con la missione italiana in Dalmazia.
Subito dopo la fine della guerra, in Sardegna, il pamphlet di Umberto Cao intitolato “Per l’autonomia” – che esprimeva «l’esigenza di svincolarsi dagli inviati del Governo di Roma, per dare forma in Sardegna ad una nuova rappresentanza, un’istituzione autonoma» e che gettò una delle basi del pensiero sardista – suscitò l’attenzione di Vittorio Tredici e di molti ex combattenti.
Questi, partiti dall’isola come truppe coloniali, erano tornati dall’esperienza della guerra con una nuova coscienza di sardi, come parte di un popolo e rivendicavano sia le ricompense che erano state promesse ma anche coscienti dell’esperienza irlandese rivendicavano l’Autonomia politica, un Parlamento sardo, la libertà di commercio, la fine delle camarille post risorgimentali e l’autogoverno in una visione federalista europea: nacque così il Partito Sardo d’Azione, che ebbe tra i massimi dirigenti personalità come Emilio Lussu, Camillo Bellieni, Paolo Pili.
Tredici, ex combattente Capitano decorato per meriti militari, aderì inizialmente all’Associazione dei combattenti e in seguito al Partito Sardo d’Azione del quale fu uno dei fondatori e fra i principali dirigenti cagliaritani..
Per comprendere la complessa personalità di Vittorio Tredici e di come sia potuto essere dichiarato Giusto fra le Nazioni con un percorso politico apparentemente contraddittorio, ma con una specchiata onestà, altruismo e probità sempre rivolta agli umili, ai lavoratori, agli ultimi e alle persone in pericolo, bisogna tratteggiare inizialmente la sua personale e importante vicenda politica iniziale .
Il Rag. Vittorio Tredici a vent’otto anni, emerge nel 1920 nelle cronache politiche sarde, quando nel Congresso della Sezione cagliaritana dei combattenti che discuteva la proposta di trasformazione in partito politico, incaricato da Lussu a presentare la relazione di maggioranza illustrò le posizioni favorevoli alla costituzione immediata del PSdAz in sintonia con quelle di Puggioni espresse nel precedente Congresso provinciale dei combattenti a Sassari e sostenute da Bellieni, Mastino, Oggiano e Meloni.
La relazione di minoranza , contraria alla trasformazione in Partito fu illustrata dal Cap. Aneris ma inaspettatamente, con un ribaltamento delle posizioni, fu appoggiata da De Lisi e soprattutto da Emilio Lussu che precedentemente era stato un caldo sostenitore di Tredici e quindi venne sospesa ogni decisione rimandandola al Congresso regionale dei combattenti previsto a Macomer..
Non si capì sul momento questa improvvisa decisione ma fu chiaro in seguito che era funzionale alle presentazione della mozione Lussu-De Lisi nel Congresso dei Combattenti di Macomer del 8/9 agosto 1920 di una tesi politica non preannunciata e opposta alla tesi ufficiale di Camillo Bellieni, che sostituiva la relazione di Vittorio Tredici con un taglio fortemente sindacalista rivoluzionario, meglio nota come Programma di Macomer.
Quel documento politico conteneva forti riferimenti ideali alla Carta del Carnaro, dato che gli autori esprimevano grande simpatia dei principi e prassi incarnati nell’Impresa dannunziana di Fiume, e costituiva uno dei punti di concordanza e contatto del comune combattentismo fra settori soprattutto cagliaritani del PsdAz con l’iniziale PNF e che contribuirono in seguito a formare la principale giustificazione ideale alla fusione sardo-fascista.
Vittorio Tredici si oppose sempre al fascismo sardo, ed ebbe un importante ruolo nei giorni precedenti la Marcia su Roma quando era in corso a Nuoro il Congresso del PsdAz.
Lussu e Bellieni a nome del PsdAz si misero a disposizione dei prefetti, dichiarandosi pronti a riprendere le armi del Piave per difendere lo Statuto contro la violenza dei fascisti, in risposta al telegramma del 29 ottobre del Gen. Gastone Rossi, comandante della Divisione militare di Cagliari, con il quale chiedeva ai sardisti la loro collaborazione per la salvaguardia delle libertà costituzionali contro l’insurrezione fascista.
In questa temperie Vittorio Tredici, sapendo che i fascisti della Provincia volevano convergere sulla città, propose al Congresso di Nuoro di ammassare a Cagliari tutte le “ camicie grigie” e l’insieme dei reduci e dei sardisti, per liquidare una volta per sempre l’organizzazione politica del fascismo sardo.
Collaborò col Direttorio sardista riunito il 30 ottobre in casa dell’On. Mastino che preparava, su impulso di Lussu, un piano di resistenza armata che divideva la Sardegna in sei zone e prevedeva l’occupazione delle caserme, la distribuzione di armi e munizioni ai pastori e contadini ex combattenti contando sulla scontata fraternizzazione con ufficiali e truppa.
Mentre i dirigenti sardisti prefiguravano il passaggio del potere civile a uomini del PsdAz da esercitare in sintonia con i militari, non sapevano ancora che il Re aveva subito revocato il decreto dello Stato d’assedio e dell’invito a Mussolini per formare il nuovo ministero
I dirigenti sardisti, tornati immediatamente a Cagliari e con una situazione ormai mutata rispetto alle premesse alle loro decisioni nuoresi, decisero di non dar seguito all’insurrezione e i fascisti che si attivavano per invadere Cagliari, come proposto da Vittorio Tredici, vennero contrastati coagulando tutto l’antifascismo, contrapponendo forza a forza e sfilando per la città preceduti dai Quattro mori, con una manifestazione di 20.000 persone che costrinsero i fascisti a ritirarsi.
Gli anni della resistenza sardista sino alla prima fusione del 1923 ed oltre le elezioni del 1925, furono costellati da scontri, violenze, omicidi, dei quali forse se ne è persa la memoria e che vide il potere fascista comprendere che non sarebbe stato agevole aver ragione di una sollevazione sarda, di un moto rivoluzionario di un popolo che poteva insorgere non volendo in nessun modo soggiacere ai fascisti capeggiati da Sorcinelli, l’industriale proprietario di miniere e del giornale l’Unione sarda.
Mussolini autorizzò per mezzo del Gen. Gandolfo una trattativa subito accettata dal PSdAz, con l’obbiettivo di fondere il fascismo col sardismo in un unico partito in Sardegna.
La riuscita della trattativa condotta da Emilio Lussu delegato con pieni poteri a questo fine dai sardisti e con Vittorio Tredici componente del Comitato paritetico presieduto dal Generale Gandolfo fu annunciata dallo stesso Emilio Lussu in un suo discorso alla Provincia di Cagliari.
Fu una lunga trattativa che portò alla definizione di una ipotesi di fusione che poi col ritiro di Lussu ad Armungia in corrucciato silenzio per diversi mesi , che avendo capito che contrariamente alla sua speranza mai Mussolini avrebbe permesso che Lussu divenisse il capo del Sardo fascismo, non fu mai ratificata anche per l’opposizione ad ogni accordo di Camillo Bellieni e Francesco Fancello, gli ideologhi del sardismo e residenti allora in continente tenuti all’oscuro della trattativa, ma che continuò con Paolo Pili come interfaccia del Gen. Gandolfo.
Vittorio Tredici fu sempre particolarmente legato ad Emilio Lussu e fu molto attivo nella resistenza al fascismo prima e dopo la Marcia su Roma e condivise con Lussu, quando il fascismo ormai era al potere, la ricerca di una via di uscita attraverso la sostituzione dei fascisti con i sardisti nel PNF nell’Isola , con un accordo che consentisse di attuare i principi sardisti anche attraverso una particolare ed autonoma organizzazione fascista in Sardegna, con a capo Emilio Lussu.
Nel 1923 fu uno dei protagonisti della cosiddetta fusione del Partito Sardo d’Azione col Partito Nazionale Fascista, esponente del peculiare fenomeno politico sardo noto come “sardo-fascismo” (altri importanti aderenti furono : Egidio Pilia, Giovannino Cao, Enrico Endrich, Paolo Pili), come tentativo di adattare il sardismo alla nuova realtà politica dell’Italia fascista.
In definitiva convinti dai termini dell’accordo e soprattutto dalla defenestrazione da ogni incarico dei fascisti sardi della prima ora comandati dall’industriale ed editore Sorcinelli che era stato il regista di tutte le violenze esaltandole dal suo giornale l’Unione sarda, buona parte parte del PsdAz confluì nel Partito fascista dando vita al cosiddetto Sardofascismo, nel quale dall’inizio ebbe un ruolo importante Vittorio Tredici che il 14 febbraio 1923 con la cosiddetta prima fusione divenne Segretario della prima sezione sardo-fascista di Cagliari e Vice Segretario della Federazione cagliaritana.
Per un primo periodo, soprattutto dopo le successive elezioni che videro il PSdAz sorprendentemente eleggere ben due parlamentari conservando oltre la metà dei consensi, i sardisti e sardo-fascisti compreso Tredici continuarono a frequentarsi, scambiandosi opinioni e rispettandosi forse perché secondo Paolo Pili era stata creata da Emilio Lussu un’organizzazione segreta chiamata il Nuraghe già nel 1921 ma che venne attivata durante la crisi del sardo-fascismo per unire i sardisti indipendentemente dalla loro scelta politica divergente, per perseguire comunque unitariamente gli obbiettivi sardisti.
Durante un convegno sul sardofascismo a Cagliari, la figlia di Dino Giacobbe altro grande sardista presentò un foglio di carta sottilissima, ricevuto in eredità dal padre che lo aveva sempre tenuto nascosto sotto una mattonella della sua casa, con scritta la formula e le regole per il giuramento di adesione alla società segreta pansardista Il Nuraghe.
Tale organizzazione segreta costituita inizialmente con a capo Emilio Lussu, da Paolo Pili e Vitale Cao, secondo lo schema del triangolo massonico, avrebbe in seguito ammesso con altri sardisti e sardo-fascisti anche Vittorio Tredici.
Il 19 giugno 1923 il Consiglio comunale di Cagliari venne sciolto dal Gen. Gandolfo che nominò Commissario Vittorio Tredici che immediatamente smantellò il sistema clientelare del deposto Sindaco Dessì-Delipèri espressione del gruppo Sanna-Randaccio ed epurando tutti i fascisti sorcinelliani e squadristi.
Tredici fu prima Commissario prefettizio (1924-1926) e quindi podestà (1927-1928) di Cagliari dove operò con onestà ed efficienza.
Il 6 novembre 1924 fu approvata la Legge del Miliardo destinato alla Sardegna e vissuta dai sardofascisti come una grande vittoria atta a realizzare con quei fondi i loro progetti autonomisti e infrastrutture necessarie, strade, fognature, scuole, acquedotti.
Fu nominato segretario federale di Cagliari per il Partito Nazionale Fascista sardizzato, ormai diretto ovunque da sardisti e divenne dirigente di numerose organizzazioni sindacali e corporative nonché segretario dei Sindacati dell’industria.
Nel 1929 approdò in Parlamento e per dieci anni dispiegò la sua azione come esperto minerario del regime. Si dedicò al rilancio dell’industria mineraria sarda e italiana con la creazione, nel 1936, dell’Azienda Minerali Metallici Italiani, di cui fu primo Presidente.
Negli anni 1935-1939 fu proprietario della miniera di piombo e argento di S’acqua Bona, nel complesso minerario di Ingurtosu (Arbus).
Fu inoltre uno dei fondatori della città di Carbonia (1937).
Esperto di questioni industriali e minerarie fu imprenditore, dirigente Sindacale, di Società , Enti del settore, Deputato nel Parlamento del Regno.
Trasferitosi a Roma operò sino a cadere in disgrazia presso il fascismo, sia perché il Regime ormai saldamente al potere operò uno smantellamento del sardofascismo i cui principali esponenti furono dimessi e anche perseguitati, sia per la sua opposizione all’entrata in guerra e alle politiche razziste e anti giudaiche del regime.
Deluso, meno oberato da impegni politici e di lavoro, prese parte più attivamente alla vita della sua parrocchia, la Chiesa di Santa Lucia nella circonvallazione Clodia.
Il parroco Ettore Cunial, suo intimo amico, raccontava che Vittorio Tredici era il “factotum dell’Azione Cattolica e delle opere di carità della Parrocchia”.
Il parroco Ettore Cunial per venire incontro ai più poveri aveva dato vita in quegli anni terribili alle “Comunità di palazzo” che divennero durante l’occupazione tedesca la base della rete di soccorso e resistenza nella quale Vittorio Tredici ebbe un ruolo di rilievo.
Dal 16 gennaio 1943, giorno d’inizio della razzia nazista nel Ghetto romano, Vittorio Tredici e la sua famiglia ospitarono e salvarono famiglie di ebrei che evitarono così di essere uccisi nei lager di sterminio nazisti, aiutandole anche oltre la Liberazione di Roma.
Un episodio in particolare, col rischio della vita sua e della famiglia, segnò proprio il 16 ottobre l’inizio la sua attività di Giusto fra le nazioni.
Quella mattina, una giornata grigia e e fredda bagnata da pioggia insistente, un camion di militari tedeschi si fermò in via Sabotino 2a, di fronte all’abitazione di Tredici.
Era coperto da un telone scuro.
Alcuni curiosi si erano fermati ad osservare la scena.
Non si trattava di un normale trasporto di truppe.
Il camion era pieno di civili, uomini, donne, vecchi e bambini, ammassati insieme a valigie e pacchi.
Era iniziata la grande razzia degli Ebrei romani nella Roma occupata dai nazisti.
Prima dell’alba i tedeschi avevano bloccato le vie d’accesso alla zona del vecchio ghetto e cominciato a portare via le famiglie, casa per casa.
Nell’azione erano impegnate oltre ad un commando inviato appositamente da Adolf Eichman e guidato dal suo collaboratore fidato Denneker, alcune compagnie messe a disposizione dal comandante la piazza di Roma Stahel: in tutto 365 uomini.
Gli italiani, i fascisti, erano stati impegnati nell’organizzazione logistica dell’operazione.
La città era stata divisa in ventisei settori.
In ognuno di questi era operativa una squadra con uno o più camion che si muoveva in base ad un elenco nominativo su cui era indicato l’indirizzo di ogni famiglia ebrea.
I militari tedeschi cercavano in via Sabotino, nel quartiere Prati molto lontano dal Ghetto, la famiglia Funaro: l’unica famiglia di ebrei che abitavano il palazzo.
Infatti in genere la storia di quei terribili giorni si sofferma solo sulla razzia nel Ghetto, mentre invece la caccia all’ebreo fu scatenata nell’intera città di Roma fin nei quartieri periferici dove gli ebrei ormai erano andati ad abitare o dove avevano le loro atività economiche e professionali.
Fu da parte nazista e fascista uno sforzo logistico meticoloso e lungamente preparato, andando generalmente a colpo sicuro su informazioni di fascisti o prezzolati nell’invadere le case all’alba sorprendendo le vittime o nel sonno o nelle prime ore di vita giornaliera e quindi trovandole sorprese ed indifese.
Il portiere del palazzo, si accorse del pericolo e avvisò immediatamente i Funaro che si precipitarono fuori dell’appartamento che si trovava al quinto piano.
Con l’ascensore scesero al primo piano mentre i tedeschi salivano le scale.
Il portiere , con prontezza di spirito, li nascose prima nel vano dell’ascensore e poi avvertì Vittorio Tredici che li fece entrare nel suo appartamento, dove viveva con la moglie e i suoi nove figli.
I tedeschi nell’appartamento dei Funaro trovarono solo Rodolfo, il padre di Vittorio Funaro che era malato e immobilizzato a letto.
Il portiere disse loro che aveva una gravissima malattia infettiva e i tedeschi pur contrariati lasciarono lo stabile di via Sabotino a mani vuote.
Il camion, dopo essersi fermato agli altri indirizzi della zona, si diresse verso sud per il Lungotevere e a mezzogiorno raggiunse il punto di raccolta nel Collegio militare a Via della Lungara.
Qui 1265 persone, chi ancora in camicia da notte, chi vestito alla meglio sotto la minaccia delle armi e delle percosse, donne, bambini, uomini e anziani, vagavano per gli stanzoni cercando di riunire famiglie, darsi conforto, disperandosi.
Dopo due giorni i rastrellati vennero deportati su carri bestiame piombati ad Auschwitz.
Soltanto 16 fecero ritorno e nessun bambino.
I Funaro intanto nell’abitazione di Tredici ripresero fiato.
Rodolfo Funaro salì nel suo appartamento a prendere il padre malato e con l’aiuto di Tredici, trovò una sistemazione per la moglie Virginia e il figlioletto Massimo in un istituto di Suore a Monteverde.
Rodolfo, il padre Vittorio e la madre Ester Gay, trovarono rifugio altrove.
Successivamente Vittorio Tredici collaborò col Parroco Clunal per nascondere ebrei e ricercati e partigiani nei locali della Chiesa.
Vittorio Tredici era un cattolico praticante e frequentava la Parrocchia sopratutto dopo che il fascismo lo aveva deluso e respinto per la sua opposizione alla guerra e alle leggi razziste, per questo poté partecipare ad una delle reti di aiuto agli ebrei in fuga che vide laici e religiosi operare a Roma assieme e che salvarono così tanti ebrei dai nazifascisti.
L’attività di Tredici e del suo parroco non era un’eccezione nella Roma occupata dai nazifascisti che vide moltissimi romani trovare in quei mesi un coraggio ed una determinazione che forse neppure i tedeschi sospettavano, e che dimostrarono come le leggi razziali fossero respinte dalla coscienza della maggioranza della popolazione.
E’ stato stimato che oltre 4000 ebrei furono salvati dalle reti della chiesa cattolica e dai cittadini sino a quando gli Angloamericani entrarono nella Città eterna il 4 giugno del 1944 e la liberarono.
L’attività di Vittorio Tredici si estese al sostegno della Resistenza in Roma a rischio della vita e di quelle della sua famiglia.
Nel dopoguerra una sentenza di proscioglimento riconobbe che tutte le attività svolte da Vittorio Tredici durante il regime fascista erano state di natura tecnica e fu quindi assolto da ogni responsabilità nei crimini del fascismo.
Conseguentemente un provvedimento della Sezione speciale per le epurazioni del Consiglio di Stato lo reintegrò nel suo ruolo lavorativo che aveva ricoperto precedentemente.
Per le sue attività umanitarie, per aver rischiato la vita nel salvare da morte sicura famiglie di ebrei a rischio della propria vita, Vittorio Tredici ottenne postumo il riconoscimento di Giusto fra le Nazioni che gli fu conferito il 16 giugno 1997.
L’ambasciatore israeliano in Italia consegnò ai familiari una medaglia e un attestato il 20 novembre del 1997 e il suo nome fu iscritto sul “Muro d’onore” o “Muro dei giusti” nel Giardino dei Giusti del museo Yad Vashem a Gerusalemme.
La memoria di questi Giusti, perché anche altri sardi lo furono, non deve andare perduta e sarebbe cosa buona e utile se oltre a ricordarli, a loro venissero intitolate strade, piazze e scuole delle nostre città e paesi, e per questo l’Associazione Chenàbura si attiverà per sollecitare a farlo gli amministratori pubblici e per realizzare un Giardino dei Giusti sardi.
il Presidente dell’Associazione Chenàbura-Sardos pro Israele
Mario Carboni
BIBLIOGRAFIA
Camillo Bellieni Scritti 1919-1925
A cura di Luigi Nieddu
Edizione Gallizzi
Dopoguerra e fascismo in Sardegna
di Salvatore Sechi Fondazione Luigi Einaudi
Dal combattentismo al fascismo
di Luigi Nieddu Vangelista editore
Il Podestà “Giusto d’Israele” Vittorio Tredici
Il fascista che salvò gli ebrei
di Gabriele Rigano Guerini studio
di Vittorio Tredici “Cooperative di consumo e di lavoro” .