Il moderno federalismo di Emilio Lussu, di Francesco Casula
Ricorre oggi il CENTESIMO Anniversario della nascita del Partito sardo d’azione.
L’Autonomismo dei Sardisti
Scrive Lussu in un saggio del 1933, pubblicato nel n. 6 di Giustizia e Libertà: “Gli autonomisti della Sardegna si chiamavano autonomisti perché per autonomia intendevano dire federalismo, non già decentramento… D’ora innanzi adoperando la terminologia “Federalismo’ non ci saranno più equivoci”.
E precisa: “Ora la differenza essenziale fra decentramento e federalismo consiste nel fatto che per il primo la sovranità è unica ed è posta negli organi centrali dello Stato ed è delegata quando è esercitata dalla periferia; per l’altro è invece divisa fra
Stato federale e Stati particolari e ognuno la esercita di pieno diritto”. Lussu esprime in questo passo, modernamente, con precisione e lucidità – e ancora oggi di grande attualità – la discriminante vera fra autonomia/decentramento e federalismo. E quando afferma che per fare chiarezza politica “non basta più dire «autonomia», bisogna dire «federazione»” non lo sostiene per una questione lessicale e terminologica, ma di sostanza. La visione autonomistica, anche di un nuovo autonomismo, magari rimpolpato – e regionalistica, aggiungo io – dello Stato è ancora tutta dentro l’ottica dello stato ottocentesco, unitario, indivisibile e centralista, che al massimo può dislocare territorialmente spezzoni di potere dal “centro” alla “periferia”.
O, più semplicemente può prevedere il decentramento amministrativo e concedere deleghe limitare e parziali alla Regione che comunque in questo modo continua ad esercitare una funzione di “scarico”, continuando ad essere utilizzata come un terminale di politiche, sostanzialmente decise e gestite dal potere centrale. Quando Lussu parla di sovranità “divisa” fra Stato federale e Stati particolari – o meglio federati, aggiungo io – di “frazionamento della sovranità”, pensa quindi alla rottura e alla disarticolazione dello stato unitario “nazionale” che deve dar luogo a una forma nuova di Stato di Stati, in cui “per Stati non si intendono più gli Stati nazionali degradati da Enti sovrani a parti di uno stato più grande, ma parte o territori dello stato grande elevati al rango di stati membri”: l’intera frase virgolettata è tratta da “Federalismo” di Norberto Bobbio, “Introduzione a Silvio Trentin”. In questo modo il potere sovrano originario e non derivato spetta a più Enti, a più Stati e perciò scompare la sovranità di un unico centro, dello stato come veniva concepito nell’Ottocento – che Lussu critica in quanto “unica e assorbente” – di un unico potere e soggetto singolare per fare capo a più soggetti e poteri plurali. Con questa impostazione Lussu supera il concetto di unipolarità con cui si indica la dottrina ottocentesca in cui libertà e diritto fondano la loro legittimità solo in quanto riconducibili alla fonte statale.
Ma Lussu non si limita a disegnare in astratto il futuro stato federale, gli stati membri e le rispettive competenze, “sulla rappresentanza all’estero, sulla politica estera, sull’organizzazione armata dello Stato, sul sistema monetario: non vi possono essere
questioni, la competenza è della Confederazione” . Così come sarà della Confederazione il codice penale, civile e commerciale e la stessa istruzione pubblica superiore, mentre tutte le altre materie saranno di esclusiva competenza degli Stati federati.
Dicevo che Lussu non si limita a disegnare in astratto lo Stato federale ma individua con precisione e nettezza anche l’ente, il soggetto che dovrà costituire lo stato membro o federato: la regione. E lo argomenta così: “La regione in Italia è una unità morale, etnica, linguistica e sociale, la più adatta a diventare unità politica… La provincia al contrario non è che una superficiale e forzata costruzione burocratica. La provincia può sparire come è venuta, in un sol giorno, la regione rimane. La terra, il clima, le acque, la posizione geografica, antiche influenze commerciali, rapporti e attitudini particolarmente sviluppati da tempo, contribuiscono a dare a ogni regione una sua economia caratteristica e quindi una vita sociale chiaramente distinta”.
Da questo passo – che ho citato testualmente – emerge non solo che per Lussu il futuro stato federato dovrà identificarsi con la regione ma che egli fonda il suo federalismo sulla identità etno-linguistica. Vi è di più : descrivendo la regione Lussu ci dà – al di là delle sue intenzioni – un ritratto compiuto della “nazione”, modernamente intesa e da non identificare con lo stato; identificazione operata invece dalla cultura ottocentesca, che purtroppo permane ancora e che permeava profondamente la visione di Lussu tanto da indurlo a parlare di “nazione mancata”, intendendo a mio parere “stato mancato”.
Il ritratto che Lussu delinea della regione si attaglia in modo particolare alla Sardegna che “deve essere nello stato italiano all’incirca quello che è il cantone nella confederazione svizzera e il land nella repubblica federale tedesca”. Ma anche alla Sicilia perché “godevano di una situazione di privilegio in quanto il mare era sufficiente a risolvere ogni contestazione territoriale”. Ma in genere per tutte le regioni prevede un’organizzazione federale “a un dipresso come i «paesi» in Germania, le «province» in Austria e i «cantoni» in Svizzera”. Scrive a proposito della Svizzera in I discorsi del rientro-Lussu 1944: “Io ho conosciuto molto da vicino la Svizzera, la piccola grande democrazia organizzata in
Stato federalistico, la più antica che l’Europa conosca. Ebbene, è a quel tipo d’organizzazione federalistica dello Stato democratico che la Sardegna aspira”.
Quanto alla questione del nome delle entità che dovrebbero costituire lo stato federale: regioni, repubbliche, stati federati, territori autonomi, Lussu non ha dubbi: avrebbero dovuto chiamarsi “repubbliche federate”. E così argomenta: “Io propendo per la denominazione di ‘repubblica’ perché questa è la più rispondente a mettere in evidenza la parte di sovranità conquistata e a dare più popolarmente coscienza dell’attività autonoma e distinta nel seno della intera comunità italiana”. A chi obiettava che per diventare «stato» le nostre regioni sarebbero troppo piccole rispondeva: “Lo sarebbero come stati indipendenti, – io preciserei ‘separati’-, non lo sono come stati federati.” E aggiunge: “Nella Confederazione svizzera non vi è un solo cantone più grande delle più piccole delle regioni italiane”. Non era quindi il criterio del territorio – secondo Lussu – ad impedire a una regione di essere l’unità di base di uno stato federale. Inoltre l’autore di Un anno sull’altipiano ricordava a questo proposito che nulla vietava a due o più regioni che avessero interessi comuni o unità di vita economica di unirsi in un solo stato federale.