l’Orfismo e la Candelora, di Prof. Salvatore Dedola
IL CARNEVALE E LA CANDELORA. ORFISMO, MISTERI, CANDELORA. foto di Alessandra Garau
Impressionano le somiglianze delle manifestazioni religiose del mondo antico, specie dell’area medio-orientale, con quelle che s’appalesano nei Carnevali barbaricini, dove numerose maschere vestono pelli di capra nera o, in assenza, pelli di pecora nera; in assenza indossano cappotti neri (Orotelli). Le simbologie del “fuoco” evocate con i tizzoni-vaganti (i THURPOS di Orotelli) non fanno che ricondurre alla vastissima fenomenologia dell’Orfismo e dei Misteri, già trattati nella mia Enciclopedia della Civiltà Shardana, p. 207 sgg. Nei Misteri la costante è il fuoco, l’elemento purificatore per antonomasia, dominante ogni gesto delle processioni e delle cerimonie. Le processioni erano notturne non certo per la segretezza della simbologia loro intrinseca ma per valorizzare il bagliore delle fiaccole. Tali processioni furono poi forzosamente mutate dalla Chiesa romana nella processione notturna della Candelora, che riduce le candele ad allegoria della purificazione di Maria che si reca al tempio dopo il parto. Ma noi sappiamo che la Vergine raggiunse il tempio di giorno, perché la religione ebraica imponeva la rigorosa chiusura del tempio al calar del sole. Per i Misteri invece la fiamma notturna era essenziale, aveva un significato altissimo: era l’emblema della purificazione dello spirito umano dalle tenebre dell’ignoranza. CANDÈLA sd. ‘candela’. La processione della Candelora ha nome dal latino candela. Ma l’antica base di questa parola è l’akkadico qâdu ‘accendere’ torcia, fuoco + elu(m) ‘parte alta, top, upper side’, col significato di ‘accendere nella parte alta’, il che è tipico delle candele, delle torce etc. Lo stato costrutto qâdelu fu soggetto col tempo all’epentesi della -n- eufonica, che andò a interessare tutto il Mediterraneo. Non servirebbe ricordare il primo utilizzo del fuoco, asportato dalla lava ardente o da un albero acceso dal fulmine. Sin dalle origini si decretò la sacralità del fuoco per una serie di ragioni: la più banale ed utilitaristica è che il fuoco è necessario all’uomo e doveva rimanere sempre disponibile: non si poteva tollerare il suo spegnimento. Ogni popolo antico rese sacro il fuoco. Così anche i Parsi (dominati dalla figura di Zarathustra). A Roma si creò persino un corpo di monache (le Vestali) esclusivamente dedite a ravvivare il fuoco perenne nel tempo di Vesta (la greca Éstia). L’Inno Orfico n. 84, dedicato ad Éstia, recita: «Estia regina, figlia di Crono potente, / che hai la casa in mezzo al fuoco perenne, grandissimo, / consacra tu questi santi iniziati nei riti (misterici), / rendendoli sempre fiorenti, molto felici, sereni, puri; / dimora degli dèi beati, forte sostegno dei mortali, / eterna, multiforme, desideratissima, simile all’erba; / sorridente, beata, accogli benevolmente queste offerte, / spirando prosperità e salute dalla mano carezzevole». Il fuoco era religiosamente considerato una porzione materiale di Dio, l’unica apparizione possibile di Dio in Terra. A Mosè Dio si manifestò col Roveto Ardente. Il fulmine per gli antichi era la manifestazione concreta della collera di Dio, e quando il fulmine produceva un incendio, quel fuoco permaneva sacro, era un prodotto divino e non poteva giammai essere attinto dall’uomo (il quale però lo attinse, forzato dalla necessità). Fu tale il tabù del fuoco, che I Greci tramandarono il mito di Prométeo (Προμηθεύς), un originario dio del fuoco, un Titano amico degli uomini che li indusse a saziarsi delle parti migliori delle vittime sacrificali, destinando a Zeus il peggio dell’arrosto. Allora Zeus si vendicò privando gli uomini del fuoco. Prometeo glielo rubò e lo restituì agli uomini, ma Zeus lo punì incatenandolo e dannandolo all’assalto di un’aquila che gli rode il fegato. Di Prométeo si propone dai grecisti il seguente etimo: ‘colui che riflette prima’. Ma questo è un inaccettabile controsenso. La vera base è il gr. πῦρ, πυρός ‘fuoco’ + μητιάω ‘procuro, prendo cura di’. La combinazione delle due parole (π[ῦ]ρo-μητ-εύς) significò ‘colui che procura il fuoco’. Indagando le fonti egizie abbiamo forse le basi originarie, più antiche, le quali però suonano diversamente, da per-ā ’hero, warrior, fighter’ + meṭ ‘to strike, colpire’; oppure maā-t ‘thy genuine friend’. L’unione delle due parole significò ‘eroe perseguitato’; oppure ‘eroe che ti è realmente amico’. Prométeo aveva commesso un sacrilegio imperdonabile, ma egli rimane per noi un dio amorevole. Persino in Polinesia si favoleggiava che il fuoco fu inizialmente posseduto dalle divinità e che in seguito fu rubato a vantaggio degli uomini. Ogni popolo ebbe il fuoco sacro. Persino nell’antico Messico a Capodanno si accendeva il nuovo fuoco (ed eccoci ancora una volta al Carnevale sardo, che inizia l’anno accendendo il fuoco sacro di sant’Antonio).I fulmini, specialmente i vulcani, sono le fonti iniziali del fuoco sacro. Però nel Mediterraneo i vulcani attivi stavano soltanto nel basso Tirreno (a Napoli, nelle Eolie, nell’Etna). Si favoleggiò che Efesto, dio greco del fuoco che soppiantò Prométeo, si rintanasse proprio nell’Etna a forgiare armi ed altro. E se dai Greci gli Inferi furono immaginati come una cavità immensa buia e fredda dove si precipitavano i morti, nelle terre italiche i vulcani capovolsero l’immagine, e l’Inferno fu tutto fuoco. Di qui la contrapposta immagine mediterranea dell’Ade oscura e fredda e dell’Ade tutta fiamma. ῞Αδης è nome greco del dio che signoreggia il ventre della Terra; per estensione il nome indicò la stessa cavità, latinamente detta Inferi. Ma di ῞Αδης non si capì mai l’origine, la quale poggia sull’egizio. aṭ ‘to burn, fire, flames’. In sovrappiù abbiamo l’egizio. åti ‘king, sovereign; re, sovrano’, ed Ati ‘a god’. Ecco la triplice unità di Ade quale ‘Dio e sovrano dell’Inferno fiammeggiante’. Dunque è ovvio che l’Inferno dantesco non è invenzione medievale ma un’arcaica visione dei Siculi, i quali credettero per primi all’Inferno, identificandolo nel ventre dell’Etna (Αἴτνη). Quest’oronimo è citato primamente da Pindaro, poi da Tucidide, e non sapendosi far altro, lo si derivò dal gr. αἴθω ‘bruciare’. Ma la vera base etimologica è il sumerico. a ‘semen, progeny’ + tun ‘bag, stomach, container’ + e ‘to go out, fuoriuscire’. Il composto a-tun-e significò ‘semenza primordiale che fuoriesce dal contenitore’. Quella dell’Etna è la stessa base etimologica del santo sardo Antoni e su Fogu, dal sum. a-tun-e ‘semenza primordiale che fuoriesce dal contenitore’. In tal senso è chiaro perché sant’Antonio risalga dall’Inferno a cedere il fuoco agli uomini, e perché proprio lui dia inizio alle celebrazioni del Carnevale. Con le profondità degli Inferi ebbero a che fare parecchi personaggi dell’antichità. Ci scese Orfeo, il mitico fondatore dei Misteri greci, mentre Demetra, la Dea Mater mediterranea esaltata nei Misteri, ebbe un rapporto stretto con gl’Inferi, poiché là dentro ogni sei mesi veniva trattenuta sua figlia Perséfone. Fu la stessa Demetra a mondare l’eroe Demofonte dalle scorie terrene e renderlo immortale mettendolo in un focolare. Il fuoco è altamente purificante, annulla e distrugge il male; è in grado di distruggere ogni residuo corporeo dagli esseri demoniaci; in Purgatorio il fuoco purifica delle colpe commesse; e non è un caso se la Chiesa considerò il rogo l’unico strumento per mondare gli eretici e le streghe e ricuperarli, seppure dopo averli annientati, al Paradiso. Il fuoco fu simbolo della forza vitale, simbolo del cuore, della capacità procreativa, dell’illuminazione, del Sole. Lo stesso Spirito Santo discese formando lingue di fuoco sugli Apostoli, ispirandoli alla predicazione e al miracolo. La forza vitale riporta ancora al Carnevale sardo: al Carnevale sant’Antonio apporta la necessaria forza vitale senza la quale il Nuovo Anno non potrebbe garantire la periodica rinascita del Creato. Testo scritto dal Profofessor Salvatore Dedola, glottologo.