L’autonomia e l’indipendentismo come strumenti di sviluppo.
Autonomia ed indipendentismo potrebbero davvero divenire motore potente dello sviluppo dalla Sardegna. Lo sostiene (e personalmente ho sempre più concordato con questa idea) Adriano Bomboi, ideologo e scrittore del sardismo. Per capire alcuni concetti è’ utile fare un passo indietro nella Storia della Sardegna e citare un articolo di Cubeddu del 2014. Nel 1847 si compì la Fusione perfetta con gli stati sabaudi di terraferma, Con essa l’Isola veniva deprivata del suo Parlamento e finiva così il Regnum Sardiniae.
Se si è scritto che siano stati i Sardi stessi a rinunciarvi, si tratta di una grossa balla: non è assolutamente vero. A chiedere la Fusione, che verrà decretata da Carlo Alberto, furono alcuni membri degli Stamenti di Cagliari e di Sassari, senza alcuna delega né rappresentatività né stamentaria né, tanto meno, popolare. Il Parlamento neppure si riunì. Tanto che Sergio Salvi, lo scrittore e storico fiorentino gran conoscitore di cose sarde ha parlato di “rapina giuridica”.
Con la Fusione Perfetta con gli stati del continente, la Sardegna perderà ogni forma residuale di sovranità e di autonomia statuale per confluire nei confini di uno stato più grande e il cui centro degli interessi risultava naturalmente radicato sul continente. L’Unione Perfetta non apportò alcun vantaggio all’Isola, né dal punto di vista economico, né da quelli politico, sociale e culturale. Tale esito fallimentare fu ben chiaro sin dai primi anni con l’aggravamento fiscale e una maggiore repressione che sfociò nello stato d’assedio, – che divenne sistema di governo – sia con Alberto la Marmora (1849) che con il generale Durando (1852)
Gli stessi sostenitori della Fusione, ad iniziare da Giovanni Siotto-Pintor, parlarono di follia collettiva, riconoscendo l’errore. Errammo tutti, ebbe a scrivere Pintor.
Gianbattista Tuveri sostenne che dopo la Fusione “La Sardegna era diventata una fattoria del Piemonte, misera e affamata di un governo senza cuore e senza cervello”. (Cubeddu, la questione sarda 2014)
Da allora e sino alla dura esperienza delle trincee nel primo conflitto mondiale (1914 – 1918) la questione sarda era rimasta confinata ad un dibattito tra pochi e tra sordi.
A distanza di 173 anni è l’ideologo e studioso Adriano Bomboi a riproporre, in modo attuale e moderno e alla luce delle ultime vicende storiche, il punto dell’autonomia e dell’indipendenza come scelta democratica e dirimente capace di imprimere una svolta epocale e definitiva alla capacità della Sardegna di trovare la strada del proprio naturale sviluppo, quello sviluppo “endogeno” di cui parlava già negli anni ’80 del 900 il professore universitario Sassu, denunciando da subito il fallimento dello sviluppo esogeno costituito dal grave abbaglio della grande industria chimica.
Nel suo libro dal titolo “Problemi economi e finanziari della Sardegna Adriano Bomboi scrive: “(Avuto riguardo NdR)…. alla efficienza del sistema giudiziario e alla generale efficienza della Pubblica Amministrazione, ambiti in cui l’Italia non brilla affatto e che non attengono tanto alla quantità di spesa che li riguarda, quanto alla qualità della stessa, un’autonomia regionale priva dei poteri che sono propri di uno Stato non sarà mai pienamente in grado di sviluppare la propria economia, e dovrà muoversi gradualmente nei pochi spazi che la Costituzione gli ha assegnato. In alternativa, le istituzioni regionali dovrebbero valutare una maggiore autonomia, capace di incidere sulle leve dello sviluppo, o, come anticipato, un percorso per l’indipendenza. Nel 1969 l’intellettuale sardista Antonio Simon Mossa propugnava la stessa idea come necessario elemento di riscatto del popolo sardo. Malgrado il suo pensiero fosse contrassegnato dalla retorica socialista tipica del nazionalismo sardo di quegli anni, che in buona parte appare superata, e dalla generale debolezza politica del sardismo, si mostrava invece all’avanguardia nella comprensione dei fattori che, ancora oggi, consolidano la dipendenza economica dell’isola dalla penisola, portandoci a considerare assolutamente attuale il suo messaggio riformista”.
Personalmente, nei miei passati trascorsi politici nei partiti ispirati al c,d, cattolicesimo democratico, posso confermare che nella classe politica di 30/40 anni fa era ben presente un senso di impotenza e inadeguatezza che spingeva la dirigenza dei partiti a considerare la subalternità allo Stato Italiano come dazio da pagare come contropartita nella partecipazione della Sardegna alla spartizione dei frutti dello sviluppo economico degli anni del boom economico. Ma la dura realtà è sotto gli occhi di tutti e oggi possiamo affermare di aver rinunciato ad una parte importante della nostra Storia e della nostra identità in cambio di un piatto di lenticchie. Dopo che per qualche decennio la Sardegna ha visto il proprio PIL crescere costantemente e mediamente più del mezzogiorno, negli ultimi 20 anni i parametri dell’economia sarda sono tutti ampiamente negativi, tanto che la nostra Isola sta rientrando a livello UE nel gruppo dei Paesi europei meno sviluppati, dato conclamato dal contemporaneo rientro nel c.d. Obiettivo 1. dei finanziamenti europei.
Di fronte a questi dati non rimane che il dovere di analisi economica, sociale e politica, capace di non fermarsi alla umana critica, ma di spingersi verso nuove e coraggiose proposte, tra le quali la vera autonomia e l’indipendentismo possono essere quelle corrette ed auspicabili.