Ruiu? Un termine semitico che non significa rosso
Mario Ligia, pittore e storico di Macomer, ci aveva provato senza fortuna, ma la sua lezione aveva contribuito a farmi saltare lo steccato. In tema di linguistica ed etimo (origine delle parole) non bisogna mai fermarsi alle apparenze, scriveva nel suo libro “La lingua dei sardi, Ipotesi filologiche”, apparenze solitamente viziate da un istinto irrazionale dell’uomo ad essere superficiale ed immediato nel linguaggio, che poi è pur sempre un pratico mezzo di assolvimento di una tra le necessità più ancestrali del genere umano. Sì, perchè se Mario Ligia, nella sua indagine linguistica, ebbe il merito, tra i primi, di uscire dalla visione romano-centrica della linguistica sarda, non aveva potuto spingersi oltre, anche a causa di una solida ed invidiabile formazione classica (greca e latina) che non aveva ancora potuto assorbire le nuove rivoluzionarie scoperte archeologiche che via via stanno riscrivendo la Storia del Mediterraneo (su tutte pensiamo alla rivelazione dei Giganti di Mont’e Prama, lasciati marcire per 40 anno negli scantinati). Ma i suoi meriti nell’impostazione della ricerca sono indiscutibili e pur lontano dall’obiettivo aveva indicato la strada: nello studio sull’origine della lingua sarda era necessario spostare l’attenzione sulle culture più remote ed egli, figlio del suo tempo, allargò il suo orizzonte di ricerca puntando dritto dritto al proto-greco.
Ma a colmare la lacuna ci ha pensato il Prof. Salvatore Dedola, glottologo, che nulla ha inventato, che ha continuato a seguire il metodo scientifico dei suoi predecessori, ma che ha avuto il merito di ampliare le fonti di riferimento dei propri studi etimologici e soprattutto il merito di spingersi ancora più indietro nel tempo, come era giusto che fosse , in considerazione della millenaria Storia della Sardegna, ben antecedente a quella greca e ancor più latina, sino al confronto con le lingue più antiche quali il sumero, l’accadico (assiro babilonese), il fenicio, l’ebraico.
Fatta questa schematica premessa arriviamo al dunque, cioè al termine Ruiu, ampiamente documentato in Sardegna, al pari di Ruggiu, quale cognome o toponimo, che in tanti assimilano per assonanza al termine “rubiu” nel senso latineggiante di rosso (rubium). Anche in questo caso il ragionamento che dobbiamo operare è il medesimo che si può applicare a molti altri termini. La lingua sarda è di diversi millenni precedente alla cultura latina e, aggiungerei il fatto che se Ruju è perfino il nome di un Nuraghe è più che logico che il temine è ben antecedente alla lingua latina. Per trovare un lemma collegato è sufficiente sfogliare un dizionario assiro per trovare la parola “ruhu”, col significato di stregoneria, il che è assolutamente compatibile con l’appellativo di un sito nuragico, notoriamente dal sapore mistico, laddove il concetto di stregoneria non è certo quello che ci è stato poi tramandato dalla cristianità, che ne ha elaborato un concetto esclusivamente negativo legato al diavolo ed all’inferno.
L’origine della stregoneria è molto antico e risale ovviamente alla Preistoria ed era legata alle attività dei primi stregoni che al fine di apportare vantaggi alle proprie la comunità officiavano riti propiziatori magari per donare fertilità alle coltivazioni o per ottenere una ricche cacciagioni, giusto per portare qualche esempio. I Nuraghi erano tutti indistintamente templi sacri e la stregoneria nella sua accezione più arcaica e pura era sicuramente praticata.
Ciò detto è chiaro che l’ingenuo e istintivo tentativo di assimilare il cognome o toponimo Ruiu o Ruju al termine latino rubium denuncia oggi con chiarezza tutta la propria inadeguatezza, tanto più la correzione che mi venne fatta da più persone del nome del Nuraghe indicando in ruggiu (colore rosso in lingua sarda macomerese) il suo nome corretto, tesi quest’ultima che conferma la perniciosa abitudine di ogni popolo ad assimilare ogni parola al significato, dizione e scrittura più vicine al proprio quotidiano. A onor del vero una strada adiacente il Nuraghe è indicata nel vecchio catasto come strada “Ruggiu”, ma ciò non pregiudica certo tutto il ragionamento, semmai lo avvalora. Intanto perché non sposta minimamente il risultato della ricerca etimologica del cognome Riuiu o Ruggiu e poi perchè, agli atti uffuciali disponibili non risluta, come da alcuni ipotizzato, che il nuraghe abbia reso il nome da un ipotetico ex proprietario del relativo fondo, attestato essere di proprietà della famiglia Pitzus-Orrù sino all’anno 1952, quando passò per atto forzoso di esproprio per pubblica utilità allo Stato italiano. Tornando alla tendenza popolare all’assimilazione di ogni temine ai suoni e significati contemporanei ribadisco che ciò ha determinato più di una stortura linguistica ed a ciò dobbiamo prestare massima attenzione. Ragionando (aimeh!) con i suoni e l’istinto anzichè col cervello, dovremmo altrimenti affermare che la locuzione hello (di chiara derivazione ebraica, Dio) sia una trasposizione dell’inglese hello (ciao, salve) o che l’esclamazione TADANNU (altro riferimento al Dio Signore delle lingue semitiche) , molto usata in campidano voglia dire “che danno”, che Serramanna (che significa originariamente luogo con abbondanti acque i sumerico) voglia invece significare (vedi spagnolo e latino) “grandi montagne”, riferito ad un paese totalmente sorto in pianura e famosissimo per le coltivazioni agricole e non certo per i boschi.