Un costruttore di pace, Piero Terracina ci ha lasciato
“Noi siamo la memoria che abbiamo e la responsabilità che ci assumiamo. Senza memoria non esistiamo e senza responsabilità forse non meritiamo di esistere”. Nessuno muore mai veramente quando c’è sempre qualche cosa di lui che rimane vivo dentro di noi. (José Saramago)
Da poche ore è arrivata la notizia della scomparsa di Piero Terracina. Di lui Giuseppe Crimaldi ha detto: “
posso permettermi di parlare a nome di tutti gli iscritti alla Federazione Italia Israele esprimendo lo sgomento e la tristezza comune. Con lui – magnifico nonagenario che pareva immune dalla inesorabilità del tempo – se ne va uno dei più lucidi e coraggiosi testimoni degli orrori perpetrati dal nazifascismo in Italia. Terracina è stato un costruttore di coscienze.
Ho avuto due volte il privilegio di stargli accanto e di parlargli a lungo: la sua voce profonda, il suo sguardo penetrante facevano da sfondo a pensieri e idee sempre coinvolgenti. Riusciva ad arrivare al cuore di ciascuno, e forse proprio per questo il suo più importante impegno lo dedicava ai ragazzi nelle scuole. Spiegare, soprattutto ai giovanissimi, gli orrori della Shoah è cosa non sempre agevole, sempre che non si voglia indulgere a quel buonismo e a certi luoghi comuni che scivolano sulla pelle senza riuscire a raggiungere cuori e menti.
“Un baluardo della memoria”, così lo ha definito Ruth Dureghello: e credo che in queste sole quattro parole la Presidente della Comunità Ebraica di Roma abbia raggiunto sintesi più bella ed efficace per descrivere chi oggi ci ha lasciati.
Proprio per questo, adesso, ciò che dobbiamo evitare è cominciare a credere di essere rimasti tutti più soli. No. Così non è, né deve essere: perché da oggi – nella certezza che uomini della levatura morale di Terracina non muoiono mai – ciascuno di noi dovrà sapersi fare nuovo interprete dei suoi insegnamenti. Oggi più che mai, di fronte ai non pochi rigurgiti di razzismo generalizzato, diventiamo eredi della sua lezione. Perché il rischio di non ricordare il passato è quello di trasformarsi in condanna a ripeterlo.