Santa Sabina? No, Santa Sarbana: la Dea Iside
(L’archeologia vista con occhi profani, accompagnata dalla linguistica del Prof. Salvatore Dedola)
Santa Sabina, nel Comune di Silanus, sito di incredibile rarità capace di racchiudere in un fazzoletto di terra più di 2500 anni di storia del bacino del mediterraneo, è uno di quei luoghi capaci di regalarti nuovi profumi e nuove emozioni ad ogni visita, ma anche di distruggere con estrema facilità ogni certezza. Santa Sabina la puoi guardare con occhi diversi: luogo di preghiera cristiana o culto preistorico della dea madre, luogo sacro e luogo pagano, architettura pregevole e tipico luogo campagnolo, ideale per spuntini, sagre, feste, scampagnate, ma anche visite guidate, lettura, studio. Santa Sabina è nel contempo luogo marginale e ombelico del mondo legato all’ossidiana, luogo che rappresenta al meglio la realtà empirica sarda, fatta di profumi, campagna, pastorizia, ma anche realtà virtuale e fortemente simbolica. Santa Sabina è il tempo che scorre, con i ritmi dettati dal passaggio quotidiano del bestiame, ma anche il tempo che si è fermato, come in un quadro che pretende di afferrare l’attimo. Santa Sabina ti pone sempre mille domande a cui tu non sai dare risposte certe, ad iniziare dalla chiesetta, che qualcuno ancor oggi definisce stranamente romanica e campestre. E’ chiaro che non è una chiesa romanica (è totalmente assente la tipica monumentalità che caratterizza tutte le chiese romaniche) come anche la pianta, quasi a croce greca, ci dice molto tradendo le sue vere origini. I passati legami con il mondo bizantino sono l’unica spiegazione plausibile e ad oggi mi risulta che nessuno ne abbia ricavato una datazione certissima (a me sinceramente ricorda molto più l’ingenuità e la freschezza delle prime chiese paleocristiane). Santa Sabina rievoca un po’ quel senso di smarrimento pirandelliano che getta l’osservatore in una crisi d’identità. Quando ci si avvicina al nuraghe mono-torre si viene sorpresi dalla sua imponenza, tanto quanto da lontano non si riescono quasi a percepirne le dimensioni, ciò a ricordarci che le enormi costruzioni megalitiche sarde hanno il pregio di ergersi maestose, ma al contempo discrete, tra la natura sarda; ne dovrebbero prendere esempio gli architetti e gli urbanisti moderni. La compresenza del nuraghe e della chiesa è ennesima testimonianza di un trapasso religioso tutto sardo, un trapasso mai realmente consumato. La resistenza della cultura sarda al cambiamento ed alle modificazioni esterne, quella che talvolta viene declinata nel significato più pregnante di resilienza, è tutta racchiusa qui, Il movimento cristiano universale, presente in buona parte del mondo conosciuto di allora, non potendo cancellare con un colpo di spugna migliaia di anni di usi e tradizioni orali (quelle che finendo di divenire legenda acquistano dimensione mitologica per diventare storia indelebile) in Sardegna aveva chiaramente dovuto fare i conti con la Dea Madre, il Sardus Pater, il dio del Sole e della Luna, il culto dell’acqua e non ultima la profonda credenza legata alle tombe dei giganti, dalle quali si diffonderebbero misteriose quanto possenti forze positive. La cristianità aveva dovuto forzatamente mescolarsi alle genti ed alle sue millenarie tradizioni, obbligata a scegliere la strada della contaminazione tra culture profondamente diverse, quella medesima contaminazione che, a pochi chilometri di distanza ha imposto nei secoli la figura di San Costantino, mai beatificato dalla Chiesa Cattolica Romana, ma riconosciuto Santo a furor di popolo.
Santa Sabina è il simbolo della Sardegna preistorica, ma forse anche storica, considerato che solo oggi, con grande fatica, si iniziano e mettere insieme i pezzi di un enorme puzzle dal quale pare emergere con prepotenza una tradizione scritta della cultura nuragica. La stele di Nora, esempio non più isolato di scrittura presente nell’isola, pare che sia destinata a perdere ben presto la sua matrice fenicia per finire invece ad essere testimonianza diretta della eclettica cultura alfabetica nuragica sarda.
Una riflessione finale sento di farla sul nome di questo incantevole luogo. Da sempre sostengo, da profano, che la tutela della toponomastica sia elemento fondamentale per la difesa della storia dei territori e non ho ben capito per quale strano motivo un sito archeologico così bello e rappresentativo, non riporti nelle indicazioni stradali il nome originale proprio della tradizione orale dei cittadini silanesi, cioè Santa Sarbana. Considerato che sulla vigenza di questo nome nella tradizione di Silanus non vi è dubbio alcuno, non capisco perchè non se ne faccia ampio riferimento nella segnaletica e nella toponomastica. Anche questo è un modo di difendere la nostra identità e di ricordare le nostre radici. Per qualche studioso Santa Sarbana potrebbe forse derivare da un antichissimo riferimento alle selve (foreste) che per millenni caratterizzavano il territorio e probabilmente anche il Nuraghe poteva essere stato in passato meta di pellegrinaggio di pagani che magari solevano celebrare Silvano, re dei boschi.
Ma ad integrazione di queste mie riflessioni non posso non citare colui che in Sardegna sta dando la tanto agognata svolta culturale proprio partendo dalla linguistica: il Prof. Salvatore Dedola.
Secondo il mio amico Dedola SANTA SARBANA a Silanus è assimilata a santa Sabina in quanto non è più compreso, da secoli, il significato originario. Il mistero scompare con l’etimologia, e si scopre che in tale sito in epoca pre-cristiana veniva adorata la Dea Mater Universalis (esattamente la Dea Iside), nella sua epifania di donatrice dell’intelligenza. Infatti ha base etimologica nel sumerico šar ‘cow’ + ba ‘to distribute’ + nam ‘pensiero, intelligenza’. Il composto šar-ba-nam in origine significò ‘Vacca sacra dispensatrice dell’intelligenza’.